Ciao papà mio

Ciao papà, come stai, dove sei?
Non ti vedo più fisicamente dal 1982, era il 18 ottobre verso mezzogiorno.
Di tante cose tue ultimamente mi era rimasto solo questo maglione blu scuro, grandissimo per me, ciò nonostante lo indossavo d’inverno quando avevo freddo.
Quanto ti sentivo vicino in quei momenti!
Immaginavo di vederti ancora con quella giacca addosso, così calda per te tanto che non indossavi altro spesso quando volevi andare a fare un giro al bar con i tuoi amici, durante quelle domeniche in cui mamma preparava il pranzo del quale ricordo ancora l’odore.
Papà, dopo tutti questi anni ricordo ancora il tuo.
I ladri quest’anno mi hanno rubato anche quello, oltre al ricordo fisico della tua presenza rappresentato dal maglione blu in foto.
Colgo l’occasione della festa di oggi per dirti, in caso non lo sapessi già, che non ho ancora smesso di aspettare il momento di incontrarti, di dirti ancora che sei il mio “papone” da sempre e per sempre e che ti amo con tutto il cuore!
Papà, mi mancano i tuoi abbracci forti, i tuoi baci rumorosi, la tua voce che mi chiama “la mia Cenza”.
È bello essere figlia, la tua per sempre.
Le emozioni nel pensarti sono forti e tante e profonde.
Voglio solo che mi saluti tanto mamma, Franco, Raffa, Lorenzo e tutti quelli che amo ancora anche dopo tanto tempo passato separata da loro soltanto da un orizzonte.
Se poi ti è concesso, chiedi a Dio che è Padre di tutti, il dono della pace per me e per tutto il mondo. Ne abbiamo tanto bisogno, così come ci nutriamo di pane di lacrime, che vorrebbero essere di gioia.
Perdonami se spesso ho pensato di più a mamma che a te in questi ultimi anni in cui è mancata. Non devi essere geloso, nel mio cuore c’è posto per tutti!
È che perderla è stato molto doloroso, lo sai. La mia consolazione è sapere che ho una famiglia immensa che mi aspetta da sempre e per sempre.
Buona festa, papà caro mio papone! Tua “Cenza” Vicky, sempre!
Una dedica, uno dei nostri brani preferiti.
20 dicembre 1926
Ciao mamma… già mi verrebbe voglia di fermarmi per un nodo in gola che mi impedisce di dettare oltre, ma mi faccio forza e continuo, perché ne sento il bisogno.
Approfitto di questa data per farti i miei auguri di compleanno, sarebbero stati novanta se fossi stata ancora fisicamente qui con me. Voglio farti un regalo insieme a questi piccoli luccichii di sale, che accompagnano la tua mancata presenza.
Porta un grazie da parte mia a Dio e alla mia cara nonna Vincenza, che ti hanno generato e dato la vita in questa data impressa nella mia carne e tatuata sul mio cuore per sempre, nei secoli dei secoli, amen!
Oggi mi sono venuti in mente tanti pensieri, belli e brutti. Posso parlartene, vero?
Ora so che tu sai. Non provo più vergogna neanche a pensarli, spero solo fermamente che nel luogo dove la nostra fede ci fa credere che saremo eternamente felici tu lo sia pienamente, alla fine della tua vita terrena che ha conosciuto momenti tragici uniti a momenti bellissimi nei quali c’ero anch’io a partire dalla mia nascita, quella consapevole dei primi anni dell’infanzia e molto ancora.
Devo fare una pausa, infastidita da rumori nella stanza di voci che entrano senza bussare (proprio come facevi anche tu) e squilli sul cellulare di H. che mi fanno incazzare e diventare gelosa, perché mi chiedo chi cavolo possa avere l’autorizzazione per sentirsi libero/libera di chiamare a quest’ora (sono le 23:44). Preferisco non pensarci e andare oltre entrambi i disturbi per concentrarmi su di te, mamma.
Vorrei tanto che tu riuscissi a parlarmi,a spiegarmi tante cose che non riesco a capire e per le quali, nonostante i miei cinquantatre anni, non riesco ancora a darmi pace.
Ora però devo interrompere momentaneamente perché i disturbi continuano e non ho la privacy necessaria per parlarti come vorrei. Io di privacy ne ho sempre pochissima, vicina allo zero ma questo è un altro discorso…
Sappi comunque che ci ritroveremo presto, molto presto. Senti che bello questo testo! Ti parla di me, di noi!
Buon compleanno, mamma!
Sempre la tua “Cenza” Vicky!
Caro papà
La vedete questa foto? L’uomo nel ritratto è mio padre.
Si chiama Gioacchino e dal 18 ottobre 1982 ha 57 anni per sempre.
Amava molto questa foto e mia madre l’ha scelta per lui quando l’ha sepolto.
Non lo vedo da 34 anni. Da 16 mesi mia madre l’ha raggiunto e prima di lei gli facevano già compagnia mio fratello Francesco dal 1989 e mia sorella gemella Raffaella dal 1986, insieme a molti altri.
No, non sto facendo l’elenco dei defunti ma un esercizio della memoria.
È quello che ho detto a mia figlia stasera mentre era sulla porta di casa mia. Le ho detto che erano 34 anni che non vedevo mio padre. Lei mi voleva incoraggiare e consolare dicendomi di non pensare a cose tristi, ma in realtà le ho spiegato che per me il ricordo non è altro che attualizzare le gioie della memoria per avere qualcosa di bello e prezioso nello scrigno che è il mio cuore.
Esercito la memoria del ricordo dell’amore dei miei cari per me e il mio per loro sempre vivo e attuale perché la vera tristezza è dimenticare ed esserne consapevoli nella lucida abitudine della quotidianità, che con la sua patina di polvere tutto copre.
Gioia è costruire sulle rovine e dalle rovine cose nuove, nuovi ricordi, nuove presenze.
Caro papà,
so di raccontarti cose che tu già conosci, ma voglio dirtele lo stesso. Come se stessi parlando al telefono oppure di persona venendo a trovarti l’ennesima volta in ospedale illudendomi che tu stia perennemente in quel limbo ad aspettarmi, per illuminarti come il sole alla mia presenza.
Sarebbe inutile raccontarti tutto, ma voglio lo stesso condividere con te i momenti che in questo giorno emergono nel mio animo. Di alcune cose vado fiera, di altre meno.
Tu mi hai sempre perdonato. Sono cento volte il figliol prodigo nei miei e nei tuoi pensieri.
Sai, dopo essere tornato dal mio giro con Lorenzo e dopo la tua morte l’ho sposato. Con la tua benedizione, che per me è valsa più di qualsiasi cosa al mondo. Nel mio cuore ho sposato Lorenzo quel giorno, il 6 ottobre 1982, dopo aver firmato il consenso in comune ed esserti venuti a trovare subito in ospedale. Non ce l’hai fatta ad esserci fisicamente in chiesa per festeggiare con tutti noi ma lo so, ne sono certa, che la mia felicità è stata e sempre sarà la tua. Quando sono diventata mamma l’ho capito. Anzi, l’avevo capito già desiderando mia figlia.
Hai tre nipoti, tre femmine: Emanuela, mia figlia, è la più grande; poi c’è Federica e quindi Francesca. Non hai ancora pronipoti, per ora.
Non ho mai rimpianto le scelte che ho fatto contro la tua volontà, perché mi hai generata libera e io l’ho messo in pratica. Lo faccio ancora adesso, come sai. Non ho mai addossato sulle spalle di altri la responsabilità mia, come anche le colpe. Grazie a Dio ho anche dei meriti, papà, di cui sei fiero sicuramente.
Mi dispiace soltanto che tu debba vedermi lottare ogni giorno per una vita che tu avresti voluto sicuramente diversa per me, una persona allegra e vivace a volte come una bambina anche a cinquantatre anni.
Papà, volevo dirti che ho conosciuto tanti momenti di felicità anche in questi oltre vent’anni in cui sono seduta sul mio “trono” su ruote, con le mie mani ferme o quasi. Quelle mani che usavo e che avrei usato anche adesso per accarezzarti, a modo mio, come anche per giocare a carte con te.
Mi piace ancora farlo anche se uso dei trucchi visto che non posso tenerle in mano le carte. Per questo non devi essere triste, è possibile avere una vita piena anche quando non si ha nulla o quasi. Tu e mamma me l’avete insegnato, anche quando non c’era da mangiare e c’erano tanti problemi in famiglia. Il mio ricordo più bello è sempre quello di noi tutti riuniti a tavola, a mangiare una semplice pasta col sugo e basta, dopo l’ultima sfuriata con Franco e la pace dopo la tempesta.
Era bello anche così.
L’ultima cosa di cui voglio parlarti perché tu mi conosci bene é che non ho smesso di essere una persona controcorrente, coerente con i propri principi anche a costo di sbagliare. Non mi vergogno quando devo ritornare sui miei passi, non penso a me come a una perdente o qualcuno che faccia compromessi nella vita. Papà, semplicemente non ho ancora smesso di vivere. Dopo Lorenzo ho avuto altre persone, tu non avresti approvato ma guardami: sono tua figlia e ho imparato da te che cos’è vivere la vita di ogni giorno, giocare con se stessi prima di tutto e anche avere compagni di viaggio che il mondo non giudicherebbe proprio di successo.
Oggi come 34 anni fa, anzi come 53 anni fa, ti ringrazio di avermi fatta così e di avere cura di me nelle grandi come nelle piccole cose.
Ciao, alla prossima!
Con amore, sempre “Cenza”, sempre Vicky!
Un giorno normale
Ho cominciato ad ascoltarla da un’ora e non riesco a smettere, il testo non solo è audacemente vero ma anche così… quotidiano, tanto da poterlo toccare. E restarne toccati.
Ho sostato pensando… E se fosse amore quello che vivo senza chiamarlo con un nome omologato?
Grazie, Niccolò.
Una mano sugli occhi – Niccolò Fabi
E non pensare che poi tutto capiti a noi,
è solo un piatto di spine.
Ma tu sai cos’è, tu sai come avvicinarsi al confine.
Sarà più facile in due rimanere svegli,
cosa ti aspetti dal sole?
Tu non parli mai, ma ciò che vuoi è solo un giorno normale.
Tu insegni il silenzio, in tutte le lingue del mondo, io scrivo d’amore, ma poi mi nascondo.
Mi hai visto correre nella pioggia,
inseguire un giornale in spiaggia, una ricongiunzione, la mia assoluzione.
E’ questo che sei per me, uhh.
questo sei per me, uhh, uhh.
Quello che tu sei per me,
quello che tu sei per me.
Mi hai visto grasso toccare il fondo, hai visto tutte quelle cose di cui io mi vergogno.
Hai fatto finta di non vedere quando tradivo, giocavo e imbrogliavo.
Ma io so perché, sì so perché.
Ancora adesso stringiamo i pugni e non ce ne andiamo da qui.
Conosci tutti quelli che amo, la loro vita e la mia, alcuni li hai visti arrivare, altri andarsene via.
Non è più baci sotto il portone, non è più l’estasi del primo giorno, è una mano sugli occhi prima del sonno.
E’ questo che sei per me,
questo sei per me,
quello che tu sei per me,
quello che tu sei per me,
questo sei per me.
Che meraviglia… non riesco ad aggiungere altro, con un groppo alla gola penso al buio prima dell’ultimo “sonno”. Sarà tua la mano sugli occhi che mi dischiuderà un nuovo incontro con chi amo?
Dolce, romantica, realista Vicky.
Non è stato un addio

Gromo, la “nostra” casa dei sogni
Trouble
Non riesco a dirlo se non con quest’urlo e questo strazio:
sto male
e nonostante tutto vivo.
Ho tremendamente freddo e sono viva.
Sempre Vicky.
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