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Conoscersi e parlarsi è un dono

Morte e corruzione: HRW in Colombia

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A questo link di Human Rights Watch, un’organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani nel mondo, trovate un interessante articolo relativo a un’intervista sui paramilitari e dei gruppi facenti capo al cartello della droga in Colombia.

Essendo in lingua inglese, mi sono permessa, sempre previa autorizzazione, di tradurre in italiano il testo per renderlo fruibile al maggior numero di persone possibile.

Chiedo scusa in anticipo per eventuali errori e scostamenti dal testo originale che sono naturalmente involontari e non attribuibili a HRW.

È un testo lungo ma pieno di interessanti spunti di riflessione, dati da persone che vivono sulla propria pelle ciò che raccontano.

Grazie per la vostra attenzione.

 

HRW Human Rights Watch

INTERVISTA: 13 marzo 2018 Morte e corruzione in Colombia

Un nuovo libro racconta in dettaglio l’ascesa sanguinaria di paramilitari con legami col governo

Quando la gente pensa alla violenza in Colombia potrebbero venire in mente il re del traffico di droga Pablo Escobar oppure le guerriglie delle forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC). Pochi sono a conoscenza che forze paramilitari a partire dagli anni 90 uccidevano, torturavano e stupravano  durante le loro scorribande attraverso il paese. Mentre i paramilitari si autodefinivano come forze di “autodifesa”, e combattevano i guerriglieri, essi erano anche i più grandi trafficanti di droga del paese. Nel tempo, divenne chiaro che essi erano collusi con reparti significativi della milizia colombiana, con uomini d’affari e con circa il 30% del Congresso del paese.
Amy Braunschweiger parla con Maria McFarland Sanchez-Moreno del suo nuovo libro “Non ci sono morti qui”, che descrive dettagliatamente il regno dei paramilitari e la loro persistente influenza.

La McFarland, in precedenza ricercatrice per la Colombia presso Human Rights Watch, è attualmente capo esecutivo dell’Unione per la Politica Antidroga, un’organizzazione statunitense che opera per porre fine alla “guerra della droga”.

Perché hai scritto questo libro?

Quando ho finito di lavorare in Colombia nel 2010, avevo un sacco di storie che non ero riuscita a raccontare. Aveva incontrato molti colombiani coraggiosi comuni che facevano resistenza contro i paramilitari e altri gruppi armati, ma molte persone non erano a conoscenza delle loro storie di coraggio.

Chi sono i paramilitari?

I paramilitari erano corpi armati privati formati da gente ricca – sia per combattere i guerriglieri, in seguito per difendere gli interessi dei ricchi –per appropriarsi della terra, per assassinare sindacalisti o altri che si trovavano di fronte lungo la strada e così via. All’inizio molti di loro lavoravano con i principali trafficanti di droga, incluso Pablo Escobar. Infatti dopo la morte di Escobar loro divennero i maggiori trafficanti di droga del paese e molti erano stati membri oppure erano stati vicini al Cartello di Medellin.

Il tuo libro racconta la storia dei paramilitari attraverso tre persone – l’attivista Jesus Maria Valle, in seguito ucciso, l’avvocato Ivan Velasquez, il giornalista Ricardo Calderon. Perché loro tre?

Perché potevo raccontare la storia dell’ascesa dei paramilitari e di come essi si erano fatti strada fino agli alti livelli del governo attraverso di loro. Tutti e tre insieme finirono per espormi i collegamenti tra i paramilitari e il governo.

Conoscevo già abbastanza bene Velasquez quando stavo lavorando in Colombia. Quando stavo conducendo le indagini in Colombia lui era assistente presso la Corte Suprema che indagava su Congresso. Divenne bersaglio di una campagna diffamatoria da parte dell’allora Presidente Alvaro Uribe – la maggior parte dei membri del Congresso indagati facevano parte della sua coalizione di governo e uno di questi era suo cugino – e fu falsamente accusato di tramare per l’assassinio del presidente. Si scoprì che i paramilitari si erano recati al palazzo presidenziale per complottare contro Velasquez e che i servizi segreti della Colombia lo stavano spiando.

Valle era un attivista dallo stato di Antiouquia, dove si trovava Medellin, ed era amico di Velasquez, che a quel tempo era il successore del capo di Antioquia. Vale un uomo incredibilmente coraggioso che denunciò gli abusi da parte dei paramilitari. Sapeva che sarebbe stato ucciso, le persone lo pregarono di fuggire ma lui sentiva che doveva proteggere la sua gente. E nessun altro osò dire quanto lui dichiarò a quel tempo – cioè che i militari e, secondo il suo parere, l’ufficio del governatore di Antiouquia erano anche complici di questi crimini oppure guardavano dall’altra parte.

Poi scelsi Calderon, perché come giornalista aveva scritto sulla campagna denigratoria contro Velasquez. È come un’incredibile centrale elettrica che è profondamente spinto a dire la verità su quanto sta accadendo.

All’interno del libro continui a menzionare il massacro del villaggio remoto di El Aro. Perché?

È accaduto nell’ottobre del 1998, dopo che Valle aveva avvisato le autorità per mesi dell’entrata dei paramilitari nella sua regione di Ituango, la parte di Antiouquia dove si trova El Aro. Nei giorni precedenti il massacro la gente di El Aro si recò da Valle per chiedere aiuto. Valle chiamò i militari, la polizia e l’ufficio del governatore ma nessuno arrivò in aiuto.

I paramilitari entrarono in città, uccisero 17 persone, compreso un ragazzo, violentarono le donne e quindi saccheggiarono e incendiarono la città. Rubarono migliaia di capi di bestiame portandolo in giro per molte miglia perché tutti vedessero. I paramilitari si fermarono là per giorni, ma non arrivarono alcune forze di sicurezza. Testimoni a El Aro videro addirittura un elicottero militare volare sopra di loro. In questo modo El Aro divenne un forte esempio di come i paramilitari stavano operando con, almeno, il tacito consenso da parte delle forze di sicurezza.

Durante le indagini di Velasquez sul Congresso diventa chiaro che la gente molto vicina a Uribe – il capo del suo staff, suo fratello, un cugino – avevano legami con i paramilitari. Ciò nonostante egli è ancora estremamente popolare. Come può essere?

Io sono peruviana e sono cresciuta durante la presidenza di Alberto Fujimori, diventato un autocrate orribilmente corrotto e che è stato anche condannato per crimini contro l’umanità. Tuttavia io lo sostenevo all’inizio perché pensavo che stesse portando ordine in un periodo di caos. A quel tempo i guerriglieri di Sendero Luminoso stavano commettendo cose orribili nella campagna del Perù e stavano bombardando la città in cui vivevo. Inizialmente sono stata sollevata, all’età di 18 anni, da ciò che sembrava essere più sicuro. Non prestava attenzione alle cose brutte, per cui pochi anni dopo ho cambiato completamente idea e infine ho contribuito a creare un caso per la sua estradizione dal Cile per affrontare il processo in Perù

La gente in Colombia viveva con così tanta paura. E Uribe era molto fine, sembrava molto impegnato e che lavorasse duro e sembrava ottenere risultati. Attuò politiche che ridussero i sequestri da parte della FARC e rese possibile per i colombiani tornare a viaggiare da una città all’altra in automobile. La gente apprezzava questo e ciò rese loro più disponibili a non occuparsi di altre problematiche.

Che cosa pensi di Uribe?

Non penso che si possa in conclusione affermare qualcosa suo essere responsabile dei crimini dei paramilitari ma il fatto che egli operasse così da vicino con così tante persone che sono poi state condannate per la collusione con paramilitari fa emergere domande reali su di lui. Ciò significa inoltre che ha avuto una terribile mancanza di giudizio e che è stato totalmente cieco riguardo quanto accadeva intorno a sé, cosa che non combacia con la sua immagine di totale controllo, oppure egli realmente sapeva molto su queste cose e lasciò che andassero avanti.
Non puoi far finta che gli sia una persona potente informata di tutto e che in qualche modo si è perso queste informazioni.

Come erano esattamente collegati i membri del Congresso della Colombia ai paramilitari?

Circa il 30% dei membri del Congresso era indagato, accusato o condannato per aver collaborato con paramilitari, di solito per commettere una frode elettorale e in almeno un caso un assassinio.

I paramilitari hanno commesso crimini sotto lo sguardo di tutti, ma la gente ha scelto di non vedere. Perché questo?

Credo che molti colombiani fossero stanchi della violenza del FARC. C’era una volontà di guardare oltre le atrocità commesse dai paramilitari o di accettare le spiegazioni per cui i morti dovevano essere guerriglieri. Così quando Valle parlò di paramilitari collusi con l’esercito fu facile per la gente destituirlo.

Penso che molti colombiani sapessero in fondo di questo stava avvenendo e sapevano che era terribile.

Hai intervistato persone vicine a Uribe?

Sì. Alcuni di loro non volevano essere citati. Ho passato quattro ore con uno dei suoi consiglieri più stretti e ho intervistato gente che lavorava con lui in periodi differenti, da persone che lavoravano con lui quando era governatore di Antiouquia a gente che collaborava nella sua amministrazione presidenziale.
Ho provato molte volte a intervistarlo e gli ho mandato un questionario dettagliato, ma non sono mai arrivata da nessuna parte.

Ho incontrato Uribe mentre lavoravo per Human Rights Watch. Era il 2004 ed era il mio primo viaggio in Colombia. Il capo nella sezione Americhe, Jose Miguel Vivanco, l’allora Vice Capo nella sezione Americhe Joanne Mariner e io ci incontrammo con Uribe. Jose Miguel un nuovo decretolegge, che si supponeva intendesse smobilitare i parlamentari  ma in effetti lasciò che i membri sì allontanassero impuniti.
Uribe si arrabbiò molto e cominciò a camminare intorno con un dito in aria dicendo come potessio fare questa domanda quando lui aveva fatto così tanto da portare la sicurezza del paese, e fondamentalmente tenne lezione per 30 minuti prima di dileguarsi. Dopo un po’ tornò ed era molto più calmo e parlammo di  problemi.

I paramilitari non sono mai stati opportunamente disarmati e ora ci sono nuovi gruppi paramilitari in Colombia. Tuttavia il suo libro si conclude con una nota di speranza.

Posta la guerra alle droghe in Colombia e negli Stati Uniti – cioè la criminalizzazione delle droghe – si sta continuando ad avere questo è enorme mercato illecito di droga che procura al crimine organizzato enormi profitti e il potere di corrompere e infiltrarsi nelle istituzioni dello Stato. E anche se la Colombia ha un accordo di pace con il FARC, altre organizzazioni criminali si formeranno probabilmente non appena essi lasceranno il campo di battaglia.
Esistono successori dei gruppi paramilitari e altre organizzazioni criminali.
E questi continueranno a combattere e la gente continua a morire. Quando c’è un tale incentivo finanziario, chiunque lasci quel posto lascia spazio a qualcun altro per entrarci.

Ma io penso anche che alcune cose sono cambiate. Velasquez, Calderon e infine Valle hanno scoperto importanti verità e i colombiani hanno dovuto accettarle in qualche modo. Questo dovrebbe essere fonte di speranza per le persone in Colombia e oltre – quelle persone comuni, giornalisti, attivisti, avvocati, possono far cambiare le cose.

* questa intervista è stata condensata e corretta

Mentre ascolto questo brano… Sempre Vicky!

 

18 marzo 2018 Posted by | Diritti umani, Esperienze, Idee, Mondo, Persone, Storia | , , , , , , , , , , , , | 5 commenti

Autismo: una mamma americana racconta/2

fmejeb
La mamma americana nel titolo è qui su ritratta con uno dei suoi due gemelli nel post originale in inglese che trovate a questo link.

Per la seconda volta mi sono permessa di tradurre nel miglior modo possibile il testo di questo post, perché l’ho ritenuto veramente toccante e soprattutto reale. Un vero aiuto a chi vive questo e anche altri problemi in solitudine.

Potremmo indicare questo metodo di comunicazione a tante altre situazioni di vita in cui le persone restano emarginate.

Un ringraziamento e un abbraccio a questa mamma!

Di seguito trovate il testo tradotto in italiano. Vi saluto tutti! Sempre Vicky.

 

“AUTISMO: UNA MAMMA AMERICANA RACCONTA/2

 

Sì, mi dispiace che a tuo figlio sia stato appena diagnosticato l’autismo.

Un paio di mesi fa ho avuto una conversazione con una conoscente. Non ci frequentavamo da molto tempo, ma avevamo interessi in comune e ci piaceva la compagnia reciproca.

Lei sapeva che a mio figlio era stato diagnosticato l’autismo, si trovava bene a parlare con me. Mi disse che anche a suo figlio avevano appena diagnosticato la stessa cosa.

Prima che potessi pensare ho detto, “Oh cavolo. Mi dispiace di sentire questo”.

Questo tipo di gaffe non è nuova per me. Non sono mai stata brava con il linguaggio “politicamente corretto”. Ma ciò nonostante la nostra conversazione ha pesato molto nella mia mente.

Quello che ho detto è vero. Mi dispiace di aver saputo che a suo figlio è stato diagnosticato l’autismo. Ma non perché l’autismo sia una condizione così terribile da vivere…

Sto tirando su quattro figli. E tutti hanno i propri problemi. Due di loro di recente hanno beccato “Teenager” e potrebbero non riuscire ad arrivare a fine settimana se il loro atteggiamento non sarà chiarito.

L’autismo è solo un problema duro da attraversare. Io conosco alcuni dei sentimenti che lei potrebbe avere nei mesi a venire.

Così quando ho detto “mi dispiace” questo è ciò che intendevo in realtà.

Mi dispiace che al tuo bambino sia stato diagnosticato l’autismo…

Mi dispiace perché comincerai a fare ricerche sulle condizioni di tuo figlio, solo per diventare ancora più confusa di quello che già sei.

Mi dispiace che ci siano più domande che risposte.

Mi dispiace che sentirai il bisogno di diventare un genetista, un neurologo, uno psicologo, un gastroenterologo e un avvocato tutto in una volta.

Mi dispiace per i sentimenti di colpa e inadeguatezza che sperimenterai.

 

Mi dispiace perché la tua assicurazione non approverà la spesa per il trattamento che  tu stai cercando e dovrai combattere con le unghie e con i denti per ottenere i servizi dei quali la tua famiglia ha bisogno.

Mi dispiace perché qualche volta ti sentirai sola, perché penserai che nessuno capisca quello che tu stai passando.

Mi dispiace perché in certe notti sarai sdraiata a letto, chiedendoti cosa avresti potuto fare di più.

Mi dispiace che gente ignorante fisserà la tua famiglia quando uscirete per divertirvi.

Mi dispiace che la consapevolezza dell’autismo non sia lo stesso che l’accettazione dell’autismo.

Mi dispiace che a un certo punto ti troverai intrappolata in un infinito dibattito sui vaccini. Se dovessi usare la parola “cura” pagherai  il prezzo massimo dal gruppo Facebook Support Group Gods.

 

Questo è ciò che intendevo quando ho detto “Mi dispiace”. Ma ancora non era la cosa giusta da dire.

Non è il mio compito tirare fuori tutta l’energia negativa da una madre che ha appena cominciato il suo viaggio attraverso lo spettro. Il mio compito è di spianarle la strada.

 

Ora che ho avuto del tempo per riflettere, so cosa le dirò la prossima volta:

 

Grazie per aver condiviso questo con me!

Come ti senti riguardo alla diagnosi?

Questo ti aprirà così tante porte per il tuo piccolo. Fammi sapere se hai delle domande.

Questo è il mio numero. Sentiti libera di chiamarmi oppure di scrivermi in qualsiasi momento.

Nella nostra zona c’è una bellissima rete di supporto, piena di genitori pronti ad aiutarsi gli uni con gli altri. Mi piacerebbe presentarti a qualcuno di loro.

Abbiamo degli incontri tra genitori e eventi per famiglie spesso. Ti inserirò nella mailing list.

Sono disponibile, in qualsiasi momento tu abbia voglia di parlare.

Benvenuta nella nostra tribù.”

 

4 marzo 2018 Posted by | Dialogo, Esperienze, Idee, Mondo, Persone, Sentimenti | , , , , , , , , | 41 commenti

   

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