Aver paura d’innamorarsi troppo Non disarmarsi per non sciupare tutto Non dire niente per non tradir la mente è un leggero dolore che però io non so più sopportare. Non farsi vivo e non telefonare Parlar di tutto per non parlar d’amore Cercar di farsi un po’ desiderare è proprio un vero dolore Abbandonarsi senza più timori senza fede nei falliti amori E non studiarsi ubriacarsi di fiducia Per uscirne finalmente fuori Aver paura di confessare tutto Per il pudore d’innamorarsi troppo Finger che anch’io le altre donne vedo è un leggero dolor temere di mostrarsi interamente nudo E soffocare la sana gelosia E controllarsi non dirti che sei mia Voler restare e invece andare via è proprio un vero dolore Abbandonarsi senza più timori senza fede nei falliti amori E non studiarsi ubriacarsi di fiducia Per uscirne finalmente fuori
18 ottobre 2019: cronaca di una giornata perfetta.
07.00 Mi sveglio al suono della recita del Santo Rosario. Sto bene. Sto ancora meglio al pensiero del sogno nel quale sto fluttuando. Ricordo ancora la morbidezza e il tepore del coniglio che sto tenendo in braccio. Io sono in piedi su un tavolo in una scena che adesso non ricordo più.
07.30 Ora sono del tutto sveglia e mi ricordo che è il 18 ottobre: non vedo mio padre da trentasette anni. Magnifico! Invece di essere triste per la sua assenza sono felice di essermi ricordata di lui e di sentire quanto mi stia ancora accompagnando ogni giorno la mia vita. Papà, ho voglia di scriverti da tanto.
08.30 Uno dei momenti più preziosi della giornata: la Santa Messa. È il cibovero di cui non posso e non voglio fare a meno. È il mio Amico che bussa alla porta. Gli apro e Lui mi dona Parole e santa compagnia. Com’è il suo viso? Non saprei dire. Lo riconosco dal battito del suo cuore. E dal sussulto del mio.
09.30 Qualche istante di relax. Ora mani che non mi appartengono mi lavano, mi profumano con crema alla fresia – uno dei miei fiori preferiti -, una limatina alle unghie di mani e piedi e poi… Scelgo cosa indossare oggi. Armadio spalancato e via! Se non ricordassi che ho una disabilità motoria potrei pensare di trovarmi avvolta dalle coccole di una Spa e quindi da braccia che mi vestono come una principessa! Amo i sogni che rivestono di nuvole il cielo nudo.
11.00 A quest’ora di solito prendo una medicina che fa rilassare i muscoli (miorilassante), in modo da non avere spasmi dolorosi durante la giornata. Grazie a Dio le hanno inventate queste gocce!
11.15 Il pensiero di mio padre mi rimanda a un altro ad esso strettamente collegato: il mio mancato matrimonio. cito questo collegamento solo per il piacere di ricordarmi di Lorenzo in questa giornata particolare. Finalmente l’ombra del mio sollevatore mi ricorda che sarebbe ora di alzarmi e mettermi in carrozzina per iniziare finalmente la mia giornata seduta. A qualcuno fa impressione il mio sollevatore, invece per me e per chi deve spostarmi è un alleato prezioso e quasi invisibile. Quasi, ripeto!
14.30 È venerdì, dopo pranzo mi preparo per uscire. Un’ora dedicata al volontariato presso una casa di riposo di Rozzano. Il pomeriggio alle 15 30 arrivo lì e mi fermo un po’ di tempo a parlare con delle signore anziane ospiti della casa di riposo. Vi devo confidare che mi sento un pochino a casa in quel luogo da quando nel cuore sento nascere una gioia come se andassi a trovare la mia mamma scomparsa ormai da quattro anni e mezzo. Sento una profonda consolazione, e questo non è poco!
16.30 Oggi mi sento proprio come una bambina allegra e svolazzante. Chi mi guarda non lo sa, probabilmente vede solo un sorriso che sfreccia sulle ruote, senza poterne condividere la sorgente. Per oggi va bene così! Mi aspettano altre mete in questa giornata speciale, in cui mi sento assolutamente in compagnia di anime belle. Mi dirigo così verso il tram numero 15 per andare a fare la spesa. “Che ci sarà di speciale e di allegro?”, magari vi chiederete. Vi rispondo con una domanda: quante persone tetraplegiche che usano una carrozzina elettronica vedete salire su un tram per andare a fare la spesa da sole? Questo è il motivo della mia leggerezza.
17.30 Dopo aver ultimato la spesa e predisposta la consegna a domicilio, devo ingranare la quarta con la mia “Ferrari” perché ho un appuntamento molto importante con uno dei gruppi che suonano genere metal e che ho scoperto non più di una decina d’anni fa: Metallica! Infatti oggi dalle 18 presso la multisala dove vado abitualmente proiettano un evento musicale che celebra i vent’anni del loro concerto insieme all’orchestrafilarmonica di SanFrancisco nel 1999.
19.00 Non potevo certo farmi scappare quest’occasione, S&M2 di Metallica 2019! Che meraviglia! Mi sembra di essere un’adolescente emozionata al suo primo concerto! È come ripercorrere un viaggio che avevo già fatto, ma farlo con consapevolezza e conoscenza almeno parziale di ciò che sto vivendo.
Sono venuta qui da sola, insieme a me nella sala un po’ di gente, un po’ meno di quella che mi aspettavo ma poco importa. A me sembra di essere lì, ad applaudire nella mia mente tante e tante volte, con il piccolo rimpianto di non potermi alzare e stendere le mani e le braccia verso il cielo per gridare la mia gioia.
23.00 Piano piano sto tornando verso casa, gustando ancora l’ultimo evento della giornata e poi… ecco arrivare il brano che mi accompagna sino a letto, quello che condivido qui sotto con tutti voi, amici miei. E, naturalmente, con tutti i miei amori.
È stata una giornata perfetta. Un abbraccio, sempre Vicky!
Pazienza. Ce ne vuole tanta per sopportare certe giornate e certe persone. Sguardi. Nonostante siano passati anni, la gente mi osserva molto, a volte con insistenza. Futuro. Anche io ho diritto al mio, comunque esso sia. Passato. Non posso e non voglio dimenticare chi sono stata e chi ho vissuto. Guarigione. Dopo aver considerato il mio corpo come una prigione ho imparato ad averne cura come un dono. Speranza. È la consapevolezza di essere sempre nei pensieri di chi mi ha amato e di chi mi ama. Presente. Pensieri, sogni, progetti piccoli e grandi. Il vuoto apparente e il silenzio aiutano. Amicizia. Quella vera esiste. Si prova, si sente, si tocca. Il mio abito preferito. Famiglia. A volte mi è stata stretta e sono scappata. Poi è diventata il mio porto sicuro. Dio. È Lui il mio primo e immenso Amore. Con lui parlo di tutto, litigo, mi allontano. E ritorno.
Brani e testi “anti-dirottamento” per mantenere la rotta e non lasciarsi sconfiggere.
Canzone. Sognando. Poesia, Immensità. Per tutti quelli che mi leggono. E anche di piu’.
Vorrei conoscer l’odore del tuo paese, camminare in casa nel tuo giardino, respirare nell’aria sale e maggese, gli aromi della tua salvia e del rosmarino. Vorrei che tutti gli anziani mi salutassero parlando con me del tempo e dei giorni andati, vorrei che gli amici tuoi tutti mi parlassero, come se amici fossimo sempre stati. Vorrei incontrare le pietre, le strade, gli usci e i ciuffi di parietaria attaccati ai muri, le strisce delle lumache nei loro gusci, capire tutti gli sguardi dietro agli scuri
e lo vorrei perchè non sono quando non ci sei e resto solo coi pensieri miei ed io…
Vorrei con te da solo sempre viaggiare, scoprire quello che intorno c’è da scoprire per raccontarti e poi farmi raccontare il senso d’un rabbuiarsi e del tuo gioire; vorrei tornare nei posti dove son stato, spiegarti di quanto tutto sia poi diverso e per farmi da te spiegare cos’è cambiato e quale sapore nuovo abbia l’ universo. Vedere di nuovo Istanbul o Barcellona o il mare di una remota spiaggia cubana o un greppe dell’Appennino dove risuona fra gli alberi un’usata e semplice tramontana
e lo vorrei perchè non sono quando non ci sei e resto solo coi pensieri miei ed io…
Vorrei restare per sempre in un posto solo per ascoltare il suono del tuo parlare e guardare stupito il lancio, la grazia, il volo impliciti dentro al semplice tuo camminare e restare in silenzio al suono della tua voce o parlare, parlare, parlare, parlarmi addosso dimenticando il tempo troppo veloce o nascondere in due sciocchezze che son commosso. Vorrei cantare il canto delle tue mani, giocare con te un eterno gioco proibito che l’oggi restasse oggi senza domani o domani potesse tendere all’infinito
e lo vorrei perchè non sono quando non ci sei e resto solo coi pensieri miei ed io…
Come faccio da qualche tempo ogni mercoledì sono uscita subito dopo pranzo per andare in pullman al corso avanzato di inglese, per non arrugginirmi troppo e per frequentare gente.
Sono diventata molto pigra da quando ho traslocato due anni e mezzo fa.
Il comune in cui vivo ora non è servito molto da mezzi pubblici, soprattutto al mattino. Dopo le 9.30 e fino alle 13.30 circa non ce ne sono affatto. Idem dopo le 17.15.
Parlo delle corse verso Milano.
Perciò al mattino dopo colazione (a letto) mi dico: “Chi me lo fa fare?” e mi faccio girare sul fianco e dormo. Di solito fino alle dieci o alle undici.
Ciò premesso volevo condividere le mie sensazioni di oggi durante il tratto che separa casa mia dalla fermata.
Non ricordo più quando ho cominciato ad evitare di passare con le ruote su esseri animali viventi e, ove possibile, anche sull’erba, piena di vitainvisibile.
Così comincio a guardarmi intorno e a preparare i sensi per lo spettacolo che sto vivendo. Me compresa.
Il primo ad accogliermi è il sole. Con il suo calore, come un abbraccio per dirmi “Bentornata, sorella mia!”, col chiarore intenso della luce bianca riflessa nelle rogge lungo le quali passo.
Ci guardo dentro, alla roggia, e mi accorgo di essere in compagnia di una nutria. Si muove lenta sul prato per poi immergersi in acqua. Appena lo sguardo si sposta vedo un paio di gatti seduti sul muretto della cascina che costeggio. Li saluto. Lo faccio sempre, come se fossi una viandante che incontra persone per strada. Così è.
Proprio a pochi metri ecco il “mio” fico. È mio perchè ogni volta che gli passo accanto lo saluto e lo ammiro crescere, dare foglie, frutti e infine ritirarsi a dormire. Ora sta tornando in vita regalandomi le sue prime gemme.
Di lì a poco incrocio due papere, tranquille, anche loro si godono il tempo clemente. Ci guardiamo senza emettere alcun suono. Ci sono. E io anche. Questo conta.
La signora anziana che vive lì da settantacinque anni non la vedo. Sarà in casa – sono le 13.30 – o dalle galline. La scorsa estate ci siamo fermate per almeno mezz’ora. Una cosa inusuale, mi hanno detto, per gli anziani del posto. In realtà loro sono gli interlocutori più piacevoli del paese. Posso parlarci senza prendere appuntamento, al bar, per strada, in posta. Loro sono il mio libro di storiavivente.
Tra odore di letame, di alberi potati, e i colori vivi dei prati arrivo quasi alla fermata del pullman. Ed ecco che un piccolo mare celeste mi invade. Niente acqua stavolta ma minuscoli fiorellini chiamati “occhi della Madonna“.
Sono meravigliosi nella loro perfetta semplicità! La loro bellezza è “turbata” qua e là dal giallo dei fiori di tarassaco. Che spettacolo!
Sono quasi alla fermata quando mi imbatto in qualcuno che mi ricorda che sto per rientrare nel mondo affollato: una colonia di formiche tutta intenta a correre su e giù.
Mi è difficile passare senza averne sacrificata qualcuna. Chiedo scusa.
Arriva il mio pullman. Mi preparo per il viaggio. Il mio.
Un saluto mentre ascolto un brano fantastico, sempre Vicky!
Stasera guardando questo film ho ricordato tanti racconti, suggestioni, vibrazioni, esperienze e sogni… come anche incubi che hanno cambiato la vita di Lorenzo e quindi di conseguenza anche la mia. Da sempre e per sempre.
Ne traccerò alcune pennellate, pochi fotogrammi, emozioni da condividere, cose da leggere tra le mie righe.
Il giorno che ho conosciuto Lorenzo ho sentito subito che saremmo stati importanti l’uno per l’altra e nulla sarebbe stato più lo stesso. Io tornata da poco da Francoforte, lui con l’aria da eterno esploratore, un ragazzo in ricerca.
Entrambi abbiamo trovato ciò che stavamo cercando: amore e felicità, per noi e per tutti coloro che ci stavano intorno.
Il sitar, il suo viaggio in India nel 1976 – cinque anni prima del nostro incontro -, quel senso di vuoto immenso non appena ci separavamo per vivere altro che non era importante: scuola, lavoro, famiglia. Amandolo ho capito cosa significava “abbandonare tutto” senza sensi di colpa, con estrema gioia.
In India aveva imparato insegnandomelo che si è felici con poco o nulla, che i bimbi e i vecchi, entrambi senza denti, sorridono.
Aveva visto colori che solo i suoi occhi potevano farmi vedere.
Mi raccontava di povertà, malattia e morte senza tristezza.
La musica che ha suonato per me mi ha mostrato il paradiso e non solo quello.
Tra di noi come un’ombra che ci faceva sentire nostalgia di una vita precedente passata insieme e tristezza per quella fin troppo breve che ci aspettava.
Attimi lunghissimi di tenerezza, passione, spiritualità profonda e un tutto silenzioso ci insegnavano l’amore.
Chi ci ha incontrati diceva che emanavamo luce di eternità e pensieri cosmici.
Così abbiamo conosciuto Dio.
Quello indiano, quello cristiano, quello dell’eterno viaggio dell’amore.
Due storie, una vita: la mia. Quale sarà quella vera?
1.
Ho sognato di guidare fin da quando ero bambina.
La prima volta avevo cinque o sei anni ed ero alla guida di un’auto sportiva decapottabile.
Ero felice.
Impegnavo le curve con sicurezza anche se ad una certa velocità.
Mi sentivo grande.
Avevo tutto il tempo e avevo tutto lo spazio.
Con quell’automobile rossa ero libera.
Fin da allora conoscevo il sapore della vita vera.
2.
Stare in piedi non è semplicemente acquisire una posizione e non cadere.
Mi hanno detto che tutto dipende dalla testa.
Alcuni altri dalla corretta postura del mio corpo.
Quindi più esercito il pensiero, più avrò la sicurezza di non cadere.
Il corpoumano, pur limitato nel tempo e nello spazio, è una realtà estremamente perfetta.
Il mio incedere dipende solo da me.
Io posso godermi ogni attimo, ogni sfumatura.
Vi saluto con affetto e aspetto i vostri pensieri e rispondervi.
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