Si chiama Maria
È mia cognata. Per me una sorella. Una persona cara. Una sorella in Cristo.
Mi manca, Maria.
Oggi avrebbe festeggiato il suo ennesimo compleanno e invece… Dio l’ha chiamata a sé: “Vieni” e Maria, sulle orme della nostra Mamma celeste, ha risposto: “Eccomi” e ha aperto gli occhi davanti alla Santità.
Ciao, Maria.
Ti abbraccio da qui 🌺 e ti auguro tanta felicità!
Sempre nel mio cuore ❤
Sempre Vicky!
Il peso del dolore
Lo sento ancora come qualcosa di ingombrante che sta lasciando una scia dietro di sé, anzi, dentro di me e sul mio petto.
È il peso del dolore. L’ho riconosciuto oggi, con estrema distinzione tra le altre emozioni, l’ho sentito scendere dagli occhi.
ll suo sapore salato, il suo colore di un grigio inaspettato. Come la nebbia dalla quale non capire come uscire.
Sì, perchè in esso ci si può perdere. A lui ci si può assuefare. È bravo ad ingannarci.
Ci trasforma dentro e fuori e ci trasporta nella grande illusione: un mondo perfetto. Una dimensione asettica, ovattata, surreale.
Come me che indosso questa mascherina dietro la quale so di non essere me stessa.
Passa una mamma alla giusta distanza, quella del manuale di sopravvivenza da coronavirus. Tiene per mano la sua bambina, anch’essa protetta. Tra le sue manine una Barbie, a viso muto e indifferente, ma in un modo stranamente libero. “Hai visto? È tornato il Carnevale!” le dico sorridendo per tentare di trovare una leggerezza giocosa in una scena che vorrei non fosse reale.
Passano velocemente oltre. Si chiama PAURA.
Esiste un luogo dentro di me, un tempo dietro di me e una porta oltre la quale succede di dover andare: è il momento di realizzare la realtà. Game over.
Mi sento sola.
È sufficiente una sola telefonata per provare a far finta di poter smettere di soffrire quando voglio. È una crepa che rompe la diga. È la luce che investe l’oscurità. La verità che trionfa sulla menzogna e sull’illusionismo mediatico e dei social. Non è più il film che credevo di vedere sul mio schermo, comodamente sdraiata a letto o seduta come ora sul mio “trono su ruote” davanti al PC muto. Senza maschera, come Barbie.
Sento la voce di mia zia, una delle poche mie radici materne nella mia terra di Puglia. Prima che possa rendermene conto sono risucchiata dai ricordi dei bellissimi giorni trascorsi insieme l’estate scorsa.
È come rientrare nel grembo di mia madre, della terra, del sangue, della gioia e del dolore. Un impasto di umana esistenza che genera e si sovrappone al grigio presente.
Sono pochi momenti eppure sembrano lunghissimi. Tanto basta per sentire e capire che c’è stato davvero un prima e che c’è un adesso. È DOLORE per ciò che ho finora vissuto, l’assurdità di questo presente ed aspettare “il giorno che verrà”.
Guarirò. Guariremo. E avremo parecchie ferite da curare.
Amerò il mio dolore, guarderò le cicatrici e, osservandole come fotografie, ricorderò a me stessa di essere viva.
Un abbraccio fraterno e una dedica. Sempre Vicky!
La compagnia
Ma che bella compagnia
l’ho scoperta di recente
loro chiedono poco o niente
semplicemente ci sono
Io non sapevo
di voler loro bene
finchè ho sentito
il battito di un cuore
e un calore che
non era il mio
Mi fanno visita
senza doverli pregare
in ognuno di loro
c’è tanta bellezza
Il Creato mi insegna
ad amare il Creatore
anche attraverso queste creature
degne di affetto
e spesso esempi di fedeltà e cura
Piccole gioie. Grazie! Sempre Vicky!
Il mio brano in questo momento
Ti voglio bene da lontano.
Tra pochi mesi, esattamente il 15 luglio, data del mio esame di maturità, ricorderò l’ultimo giorno in cui ho vissuto nella mia famiglia d’origine, che è anche la tua, il giorno in cui ho fatto la mia scelta, la prima importante tra tante da quel giorno in poi. Non è di questo che voglio parlarti però oggi.
Mi concentro su questo numero: 28.
E’ il numero degli anni che mi separano da quella data. Quasi quanto quelli che mi separano da te. Da allora TI VOGLIO BENE DA LONTANO. Io ho preso la mia strada con l’uomo che avevo scelto, tu la tua restando a capo di una situazione drammatica come uomo, non come ragazzo. Altro che i famosi ‘bamboccioni’! Uomini nel senso vero del termine si nasce e tu lo sei!
Sono volati. Ti voglio bene da lontano. E’ una frase nata in questi ultimi giorni, dopo il tuo recente intervento, le complicazioni, le ore passate lì ad aspettare e non riuscire a pensare a niente. Solo al bene silenzioso. Discreto, non invadente. Da sorella che non ruba la scena a nessuno, se non con la sua presenza che suo malgrado non passa inosservata… non certo per l’abbagliante avvenenza!
Finalmente! Esci da lì, mi sono assentata qualche minuto prima e non ti ho visto! Ti incrocio, solo per un momento mi passi accanto. Sei sveglio, un po’ intontito. Le infermiere si fermano. Giusto un minuto tutto mio, ti chiamo per nome, ti accarezzo un po’: credo sia la prima volta in vita mia che lo faccio. Cosa ce lo impedisce, qual è il muro che spesso in famiglia ci impedisce di essere affettuosi?
Ti dico: Sono Vicky! Mi rispondi, mi guardi. Che bello, siamo un momento da soli… Non posso emozionarmi, meglio lasciarti tranquillo.
Ciao Freddy! Alla prossima occasione. Una dedica in musica. Un brano che ascoltavo con te a casa. Sempre Vicky.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.