Buon 8 marzo!

Amici miei,
piano piano mi sto riprendendo e con questa foto vi mando i miei saluti e i miei auguri!
Una dedica a tutte le amiche! Un abbraccio di cuore, sempre Vicky ❤
El Crimen de Honor que Levantó en Furia a las Mujeres de Jordania
Amici miei,
una amica da anni scrive e pubblica sul femminismo islamico (ESISTE!) e questa volta vi chiedo di avere la pazienza di leggere cosa oggi succede ancora per esempio in Giordania.
Grazie
Sempre Vicky!
Sarkhaat Al-Nisaa, que en árabe significa “Los Gritos de las Mujeres”, es el nombre de una nueva campaña organizada por activistas feministas en Jordania, a raíz del brutal asesinato de una mujer de 30 años por parte de su padre en un llamado “crimen de honor”, que ha puesto el tema de la violencia contra las mujeres en el país bajo el foco de atención, reavivando la furia pública y los llamados a la acción.
La mujer llamada Ahlam, divorciada y de poco más de 30 años, había sido devuelta recientemente a su familia después de ser ingresada en un centro de detención para mujeres por quejarse de ser víctima de abuso doméstico.
“Esta no es la primera vez, y lamentablemente no será la última”, dijo la activista de 31 años Fatin Otoom. “La madre no hizo nada … le hizo una taza de té a su marido y él…
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Nessuna conseguenza…magari
Amici miei,
Da quando ho ascoltato questo brano non ho fatto altro che ripensare al magnifico e crudo testo (di seguito lo trovate).
Mi fa pensare.
Non alla violenza fisica ma a quella terribile psicologica. Si maschera da “amore particolare”, sui generis, in fondo innocuo e quasi quasi rispettoso se non addirittura immeritato.
Quanto male mi sono procurata senza rendermene conto…
E ora? Faccio i conti con la mia autostima e la ritrovata autonomia e mi dico: “Non so se e quando il dolore e la sconfitta finiranno di tenermi compagnia. Ho però una certezza ora: non sarò più uguale al giorno, all’ ora, all’ attimo precedente.”
Sono viva. Sono donna. Sono fiera.
Mi scrollo il fango di dosso e continuo più leggera e più pura.
Un abbraccio, sempre Vicky!
Nessuna conseguenza – Fiorella Mannoia
A te che mi dicevi ma tu dove vuoi andare che non conosci il mondo
e ti puoi fare solo male ancora hai troppe cose da imparare
devi solamente stare zitta e ringraziare
Parlando mi dicevi tutto questo e molto altro
guardandomi ogni volta dall’alto verso il basso
perché non pensavi che avrei avuto un giorno il coraggio
E mi sembrava di restare ferma al punto di partenza
di non essere capace di bastare mai a me stessa
di non avere una certezza
di non essere all’altezza
E invece pensa
nessuna conseguenza
di te so stare senza
non sei necessario alla mia sopravvivenza
E invece pensa
io non mi sono persa
di quel che è stato non resta
nessuna conseguenza
E ripetevi tutto questo con quell’aria da padrone
convincendomi a pensare che io avevo torto e tu ragione
ma lo sai alla fine che l’amore
se lo tieni chiuso a chiave guarda altrove
Come se accontentarmi fosse la scelta migliore
come fosse troppo tardi sempre per definizione
come se l’unica soluzione fosse quella di restare
E invece pensa
nessuna conseguenza
di te so stare senza
non sei necessario alla mia sopravvivenza
E invece pensa io non mi sono persa
di quel che è stato non resta
nessuna conseguenza
nessuna conseguenza
di quel che è stato non resta
nessuna conseguenza
A te che mi dicevi ma tu dove vuoi andare
che non conosci il mondo e ti puoi fare solo male
ancora hai troppe cose da imparare
devi solamente stare zitta e ringraziare
E invece pensa
nessuna conseguenza
di te so stare senza
non sei necessario alla mia sopravvivenza
E invece pensa io non mi sono persa
di quel che è stato non resta
nessuna conseguenza
nessuna conseguenza
Di quel che è stato non resta
nessuna conseguenza
Morire a 14 anni
Gli attivisti sociali paraguaiani protestano davanti al Ministero della Salute per chiedere la fine della violenza contro le donne e una migliore assistenza sanitaria per loro, mentre il mondo celebra la “Giornata internazionale della donna” ad Asuncion, Paraguay, 8 marzo 2017. Lo striscione: “Il 48% delle donne violentate ha meno di 30 anni “.
© 2018 Reuters
Amici, a questo link potete trovare l’articolo originale in inglese Tratto dal sito Web dell’organizzazione internazionale umanitaria Human Rights Watch (HRW) che descrive la situazione in Paraguay riguardo la violenza di genere, in particolar modo quella sulle bambine e sulle adolescenti.
In particolare tratta l’aspetto legale riguardo la possibilità di scegliere di abortire nei casi di violenza sessuale.
È una questione morale e sociale, però visto che il panorama e la mentalità non cambiano ci vuole una legge che tuteli queste bambine. E ci vuole anche presto!
Non voglio più leggere questi titoli e vedere certe foto!
14 anni, incinta per uno stupro, morta di parto
In Paraguay la severa legge sull’aborto mette in pericolo le adolescenti
Di Margaret Wurth, ricercatrice, Children’s Rights Division
26 marzo 2018
La settimana scorsa, una ragazza di 14 anni in Paraguay è morta durante il parto. È rimasta incinta dopo essere stata violentata da un uomo di 37 anni, ed è morta mentre i medici eseguivano un taglio cesareo d’emergenza, cercando disperatamente di salvare lei e il suo bambino, dopo aver trascorso diverse settimane in ospedale per le complicazioni dovute alla gravidanza. “Il suo corpo non era pronto per una gravidanza”, ha dichiarato il direttore dell’ospedale. Il bambino è sopravvissuto.
L’aborto è illegale in quasi tutte le circostanze in Paraguay. L’unica eccezione è quando una gravidanza presenta complicazioni potenzialmente letali. Questa minima eccezione non è sufficiente per proteggere la vita, la salute e la dignità delle ragazze e delle donne nel paese.
L’aborto è illegale in Paraguay per le gravidanze risultanti da stupro o incesto. È illegale quando la gravidanza rappresenta un rischio per la salute serio, ma non pericoloso per la vita, e quando un feto non ha speranza di sopravvivere al di fuori dell’utero.
Non sappiamo se la quattordicenne che è morta la settimana scorsa avesse voluto abortire. La decisione di interrompere una gravidanza è profondamente personale. Avrebbe potuto scegliere di continuare la gravidanza anche se l’aborto legale fosse stata un’opzione. Ma per lo meno lei e la sua famiglia, il suo capo religioso o persona fidata, e il suo medico avrebbero dovuto avere la possibilità di discutere – e prendere in considerazione – il rischio di continuare la gravidanza e l’opzione per porvi fine.
Nel 2015, una bambina di 10 anni in Paraguay è rimasta incinta dopo essere stata violentata dal suo patrigno. Sua madre ha chiesto il permesso perchè la bambina potesse abortire, ma le autorità hanno respinto la sua richiesta. Ha partorito all’età di 11 anni – una undicenne sopravvissuta a uno stupro di 11 anni, costretta alla maternità contro i suoi desideri. Questo avrebbe potuto essere evitato se il paese avesse permesso un aborto sicuro e legale.
Esperti internazionali hanno affermato che il blocco dell’accesso all’aborto per i sopravvissuti allo stupro può essere una tortura. Commentando la situazione in Paraguay, il Comitato contro la tortura ha affermato che il divieto di aborto significa che ai sopravvissuti “viene costantemente ricordata la violenza commessa contro di loro, questo causa gravi stress traumatici e comporta il rischio di problemi psicologici di lunga durata“.
Ogni giorno in Paraguay quattro ragazze subiscono violenze sessuali, e due ragazze sotto i 15 anni partoriscono, secondo i dati del Ministero della Salute. Non so se la ragazza di 14 anni avrebbe scelto di non continuare la gravidanza che le era stata imposta se avesse avuto la possibilità di porvi fine in sicurezza e legalmente. Ma non le è mai stata concessa questa scelta. E ci sono centinaia di ragazze come lei, derubate di informazioni e potere sulle loro vite e sui loro corpi. Queste sono le conseguenze brutali e inevitabili della legge sull’aborto del Paraguay.
Il Paraguay dovrebbe abrogare tutte le leggi che rendono l’aborto un crimine. Ma perfino piccole eccezioni salverebbero alcune vite – permettendo ai medici, con il consenso informato dei loro pazienti, di porre fine a una gravidanza quando è necessario proteggere la vita o la salute di una donna o di una ragazza, quando una gravidanza risulta da uno stupro o incesto, o quando il feto non sopravviverà. Le autorità del Paraguay dovrebbero agire ora prima che altre ragazze adolescenti subiscano le conseguenze delle restrizioni sull’aborto del paese.
(L’articolo è stato da me tradotto, con tutti i limiti e le inesattezze che vi chiedo, eventualmente, di segnalarmi. HRW non è responsabile di errori contenuti nella traduzione realizzata con permesso.)
Grazie per la vostra attenzione, sempre Vicky.
No, grazie
Chiedo scusa, amiche e amici, non offendetevi, ma non ce la faccio proprio a fare gli auguri.
Ringrazio chi me li fa e ricambio perchè è giusto, ma prendere iniziative no.
Sarò donna anche domani. Lo sono stata ieri.
A presto, sempre Vicky!
Ipocrisia cristiana
Pubblico sul mio blog con estremo rispetto ed empatia il post di Indianalakota sullo sterminio degli indiani nativi d’America. Mi sembra il minimo da fare in questo momento dopo averlo letto…
Chi dice che nella guerra non esistono vincitori e vinti è gran bugiardo!
La tua testimonianza è una preziosa prova di questo tipo. I vinti sono stati milioni di nativi innocenti, la cui colpa era solo quella di esistere e “occupare” territorio.
Ci siamo lasciati incantare dalle bugie americane e non solo, di quelle che servono per “esportare democrazia” ancora oggi.
Non abbiamo più scuse per coprire i nostri occhi le nostre orecchie e soprattutto le nostre coscienze.
Sono cristiana, come sai, Lakota e mi sento di porre nelle tue mani una richiesta di perdono per la mia ignoranza rispetto a quanto hai raccontato e testimoniato.
Hai ragione quando dici che bisognerebbe ricordare questo olocausto, perché credo che in molte teste ancora oggi esso venga negato.
Ti abbraccio e con te abbraccio idealmente e spiritualmente questi popoli martoriati.
Davanti a queste cose non esistono “se” e non esistono “ma”. È giusto solo chiedere giustizia, ammesso che sia ancora possibile e la restituzione della giusta dignità ai superstiti.
Non ho più parole che possano tradurre il mio profondo disagio di fronte a questa sofferenza che ha colpito generazioni indifese.
phehinothatemiyeyelo - Vento nei Capelli
Questo non ve lo fanno studiare a scuola,a meno che non siate miei studenti, e non lo faranno mai!
Quindi, ogni tanto, è bene ricordare quello che i cristiani, gli stessi che tanto si riempiono la bocca con “accoglienza, fratellanza, amore” e ipocrisie varie, hanno fatto nei secoli a chi non era come loro, cioè ai non cristiani.
Parlo della civiltà che mi sta più a cuore di tutte insieme alla mia, quella che divide il mio cuore insieme a quella Celtica: i Nativi Americani.
Chi mi conosce ha già avuto modo di sapere e di leggerlo: i Nativi Americani sono il Popolo che ha subìto il più terribile genocidio della storia umana: dal nefasto 1492 alla fine del 1800 oltre il 97% della poplazione Nativa Americana è stata sterminata.
ESTINTA!
Pueblo Santo Domingo, Wintu, Yaqui e troppi altri non esisteranno mai più.
Al loro posto ci sono i discendenti…
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Islam e Daulatdia
Al seguente link trovate un articolo che narra di una realtà a dir poco rivoltante.
Succede nel 2017.
Succede mentre nelle nostre vite entrano ed escono notizie (chiamiamole così) su colossali cazzate.
E intanto dall’altra parte del mondo…
La persona a cui si riferisce il link è una donna musulmana femminista. Quando qualche anno fa ci siamo incrociate sul Web perché leggeva il mio blog e io il suo. Non potevo credere ai miei occhi quando ho visto le due parole accostate!
Lei stessa, che per sicurezza mantiene l’anonimato causa minacce, è impegnata in prima linea con conferenze, visite nelle scuole, articoli ecc.
Lascio a voi ogni commento riguardo quello che segue.
Chiedo scusa per eventuali errori relativi alla mia traduzione dallo spagnolo.
Sempre Vicky.
https://mezquitademujeres.org/2017/10/17/burdel-bangladesh/#comment-1354
Daulatdia: vivere e crescere nel più grande bordello del Bangladesh
È il più grande bordello del Bangladesh, e forse del mondo. La città di Daulatdia ospita più di 1.500 prostitute, alcune di appena 10 anni.
Daulatdia è il nome di un villaggio bordello in Bangladesh. È diventato noto come uno dei più grandi bordelli in tutto il mondo. Aperto intorno al 1988, è uno dei 20 bordelli ufficialmente sanzionati in Bangladesh, ma era ufficiosamente in attività già durante i decenni precedenti.
Situato tra una stazione ferroviaria occupata e il porto pieno di migliaia di uomini, Dautladia da’ casa a lavoratrici del sesso che servono migliaia di uomini al giorno. L’età media delle nuove arrivate è di 14 anni (l’età del consenso) e alcune sono più giovani. Molte di loro sono vendute dai trafficanti per le reti di sfruttamento sessuale o “dalal” per circa $ 250 dollari, che vengono poi costretti a pagare protettori che sono le donne per lo più anziane.
Daulatdia è come una piccola città a sé. Il bordello ha tutto ciò che le donne che si prostituiscono e i clienti hanno bisogno, dai saloni di bellezza ai mercati, alle sale da gioco. Le donne che vi lavorano non hanno alcun motivo di lasciare il villaggio che ospita il bordello. In ogni caso, anche se lo volessero lasciare, questo non è loro permesso. In un labirinto di vicoli sgangherati, le donne e le ragazze passano il giorno e la notte a lavorare in piccoli cubicoli, incontrando gli uomini che vengono dalla strada vicina.
Originariamente il sito è stato costruito durante il governo coloniale. Ma è ora di proprietà della famiglia di un politico locale. Molte delle prostitute hanno sempre vissuto lì; alcune sono state vendute dalle proprie famiglie per prostituirsi, altre sono state rapite dai loro villaggi.
Il bordello più antico è Kandapara, con 200 anni di attività. La fotografa tedesca Sandra Hoyn ha pubblicato su “The Longing of The Others” fotografie di questo sito, compilato nel seguente video:
Il Bangladesh è uno dei paesi islamici che non criminalizzano la prostituzione. Tuttavia, diversi bordelli sono stati chiusi. L’anno scorso, le autorità locali hanno demolito il bordello Tangail nel nord del Bangladesh. Questo non ha impedito che i clienti si fermassero a Daulatdia.
Daulatdia, una città in cui le donne vendono sesso per 3.000 uomini ogni giorno. Si tratta di un mondo oscuro, ma c’è ancora spazio per la speranza.
Una brutta giornata è quando il traffico di business prospera in Daulatdia. Autisti, addetti alle pulizie, facchini, imprenditori di piccole città e anche poliziotti arrivano al bordello per trascorrere del tempo con una qualsiasi delle donne dai 12 ai 35 anni che offrono i loro servizi per meno di USD 3 l’ora nel villaggio in una stanza dove mangiano, dormono e crescono i propri figli.
I bambini che vivono qui sono esposti ad abusi e sfruttamento sessuale. Le loro madri sono appena in grado di respingere gli ubriachi che passano attraverso le loro stanze. I bambini sono regolarmente utilizzati dai clienti per fare commissioni, andare a prendere alcol e droghe, fare le scommesse, il massaggio e, infine, pulire dopo i clienti li hanno lasciati soli. La maggior parte dei bambini sono spinti sotto il letto o in un angolo per dormire nella stessa stanza in cui le loro madri servono i loro clienti.
Rekha ha una figlia di nome Sharifa. Lei sa che l’esistenza di lavoratrici del sesso conduce alla privazione e alla malattia. Lei sa che la scuola che frequenta Sharifa offre l’unica vera possibilità di un’altra vita. Una vita decente. Rekha si sveglia presto ogni giorno per vedere come Sharifa va a scuola. Sharifa tiene tra le sue piccole mani il suo sogno che un giorno, insieme, troveranno una via di fuga.
Morjina Begum, la preside della scuola, osserva i bambini che arrivano attraverso le porte. Lei più di chiunque può capire che cosa significhi questa scuola. Una volta era una lavoratrice del sesso e sa cosa vuol dire soffrire.
Venti anni fa, noi prostitute e i nostri figli, non avevamo alcuna speranza, nemmeno un cimitero per il nostro funerale, ma ora grazie a Save the Children, ci sono ragazze che studiano ingegneria e medicina, molte sono diventate insegnanti e molte altre si sono sposate essi sono stabilite al di fuori di Daulatdia per vivere una vita normale.
Quando Sharifa torna a casa da scuola, sua madre, Rekha, è in attesa. Anni fa, prima che Save the Children avesse iniziato a lavorare in Daulatdia, queste madri e i loro figli non avevano alcuna speranza, ma ora ci sono ragazze che sono libere. Rekha spera che sua figlia anche vivere una vita normale e non debba mai soffrire come lei. È per questo che spera e prega che la scuola non chiuda mai, perché senza di essa non v’è alcuna speranza di fuga.
Foto: Daniel Melbye
Occhi… tre anni dopo…
Ogni giorno, osservando mia madre, sento una spina sul cuore, so che le primavere da condividere si assottigliano numericamente. Tra noi due odio e amore…
…da tempo immemorabile. Non ho vissuto e non vivo come lei vorrebbe. Sono una figlia difettosa che ama e vorrebbe diversa.
Noi… abbiamo bisogno di tempo per conoscerci e accettarci.
Come donne. Oltre il legame di sangue.
Ci sarà concesso il giorno o l’ora in cui saremo finalmente serene e comunicheremo arrivando al cuore?
Vorrei dirti che…
Oggi ti ho spiata prima di entrare
più di una volta.
Avevo fame di te e del tuo stare.
In silenzio pregavi,
il dolore come compagno, prima e dopo di me.
Ho desiderato rubarti tutto
per guarire.
Tu e io.
Con infinita tenerezza. Sempre Vicky.
Se l’è cercata
Una strada deserta, oppure no
un parco affollato, magari nemmeno
addosso dei leggings
magari degli shorts
una maglietta attillata e corta
esci di casa tranquilla
sarà una giornata lunga, anche questa.
No, non dovevi
fuori la trincea per la guerra che nessuno
vuole vedere nè vivere
la violenza sta dietro l’angolo
mascherata da buone maniere
parole gentili o complimenti
pesanti poi come macigni.
No, non lo sapevi
cosa succede a chi provoca
si misura la dignità in centimetri
la tua lasciata nel cassetto
per un’altra occasione
magari per qualcuno
dal tocco delicato.
Adesso l’eco del tuo NO inascoltato
l’urlo inghiottito
i tuoi vestiti frantumati
la tua Bellezza ignorata
nel silenzio eterno
un unico pensiero
“Voglio che finisca in fretta tutto il dolore“.
A casa una doccia
come per cancellare un tradimento,
lo è stato davvero
quello con cui la bestia umana
ha schiacciato il tuo corpo
invadendolo più volte
ovunque con non amore.
Dovrai difenderti ancora
profondamente violata
perché un’assurda complicità
ti dirà “Se l’è cercata”
e nell’indifferenza
al tuo “Sono innocente“
farà eco il nulla.
Da qui riesco a mandarti
solo la mia rabbia impotente
e penso solo che tu donna, amore mio,
avresti voluto
spalancare il tuo corpo
per lasciar entrare amore
e lasciarne emergere solo piacere.
Con immenso amore, da donna a donna, sempre Vicky.
Stronza
dal Web
Ho dovuto aspettare un giorno per far decantare il dolore, l’incredulità, l’umiliazione e tanto altro provati e vissuti ieri nella mia Milano, multirazziale, multietnica e quant’altro…
Per raggiungere da casa mia la zona San Siro ci vuole parecchio, per una persona come me che in più ha difficoltà di mobilità e di barriere architettoniche i tempi sono biblici. Arrivo finalmente alla mia meta, c’è vento caldo, sono sola come al solito nei miei spostamenti, ho bisogno di bere. Appena incontro qualcuno nella comunità che sto raggiungendo chiederò una mano per prendere la bottiglietta che ho nella borsa e finalmente reidratarmi.
Eccomi, davanti a me soltanto due persone in attesa, almeno quelle che si vedono all’esterno nel cortile. Aspetto, a un certo punto passa un ragazzo africano. Lo fermo per chiedere informazioni e mi dice che devo aspettare l’arrivo del responsabile, cioè che trovi il tempo per fare i gradini che io non posso scendere per entrare nel suo ufficio… Cominciamo male – mi dico – visto che la persona che attendo è un religioso. Non è questo comunque ciò di cui voglio parlare.
Fuori insieme a me ci sono una donna araba velata e un uomo che l’accompagna. Quando mi trovo in queste situazioni approfitto sempre dell’attesa per tentare una qualche forma di comunicazione che altrimenti difficilmente si riesce ad avere. Tutti sono sempre di fretta oppure occupatissimi con i propri cellulari, tanto da non poter nemmeno alzare lo sguardo per incrociare quello di qualcun altro e tentare almeno un sorriso di saluto.
Mi piace ancora sognare.
“Ciao, tutto bene?”
“Sì, tutto bene”.
“Vedo che siete arabi, posso chiedervi di che paese siete?”
“Siamo del Marocco“.
“Davvero? Il mio attuale compagno è del vostro paese! Lui è di … e voi?”
“Siamo di Casablanca, siamo vicini a …”.
Non so perché ma nel cuore ho provato lo stesso sentimento che in quel momento credo avrebbe avuto un loro compaesano. Da quando vivo con un uomo marocchino mi sento come se facessi in minima parte “comunità” con quelli di loro che sono all’estero, in questo caso in Italia. Questo sentimento mi fa vivere momenti estremamente diversi tra di loro. Per esempio, se sono arrabbiata non sopporto nemmeno di sentir parlare arabo in autobus; se invece sono serena o felice abbraccerei il mondo intero, in particolare con loro mi sento in quel momento con una famiglia allargata. Mi rendo conto di essere un po’ ingenua ma mi voglio bene così. Con questo stato d’animo continuo la conversazione, che però piano piano da parte della donna si trasforma in una raffica di domande incalzanti alle quali mi dà il tempo di rispondere solo a monosillabi.
“Quanti anni ha lui? E tu? Avete figli? Vivete insieme?”
Mi ritrovo a risponderle in modo automatico, quasi senza pensare, incapace di articolare qualsiasi altro discorso davanti all’interrogatorio. Con il senno di poi mi sarebbe piaciuto fare quello che c’è nella figura in alto… non posso farlo fisicamente però avrei dovuto troncare il discorso e basta visto che l’interesse del dialogo e non del pettegolezzo era unilaterale. E invece…
“Quasi 41. Io 53. No, non abbiamo figli. Viviamo insieme da un paio d’anni”.
E adesso arriva il masso che mi ha schiacciato…
“Ma come fa lui che ha 41 anni a stare con te che ne hai 53 e sei disabile? Guarda che non è possibile una cosa così! Stai attenta, perché un uomo marocchino non può stare con te che sei in questo modo!” accompagnando le sue parole con uno sguardo di pietà se non di disprezzo diretto al mio corpo e alla mia carrozzina e aggiungendo con insistenza un elenco di “NO, NO, NON è POSSIBILE“.
Non sono riuscita a dire nulla.
L’uomo che l’accompagna, che ho scoperto essere suo fratello, molto più in vena di fare conversazione e conoscenza, cerca di mettere una pezza sulla ferita che sua sorella mi ha appena provocato dicendo: “Si vede che lui è innamorato“.
Da quel momento non mi parlano più. Io neppure, visto che nel frattempo è arrivata la persona che aspettavo. Vado via velocemente per non perdere il pullman che mi porterà a casa un’ora più tardi.
Mentre sono sull’autobus piano piano realizzo quello che è accaduto e… la rabbia sale, mista a tristezza, senso di inadeguatezza, di immensa solitudine e impotenza. Ho voglia di spaccare qualcosa per non sentire questo dolore dal quale non mi posso difendere. Vorrei poter correre, piangere liberamente, gridare parolacce a quella donna così dannatamente piccola e semplicemente STRONZA!
Improvvisamente mi sento con nulla da capire, nulla da scusare, nulla da dover sopportare perché tutto enormemente ingiusto.
Contro ogni realtà io continuo a credere nella bontà della gente, nonostante tutto.
Mi aggrappo a questa mia convinzione profonda sull’umanità, quell’umanità che vede oltre il mio corpo non autosufficiente e oltre il colore della pelle del mio compagno.
Si può essere razzisti essendo invidiosi di quel poco che il prossimo ha, ma soprattutto del tanto che l’altro è, perché a noi – in questo caso a quella donna STRONZA – manca: un briciolo di bene nel cuore.
In questo momento non riesco a giustificarla, neppure pensando a un eventuale passato personale senza amore. Non me ne frega niente! Io non le ho fatto nulla di male. Le ho permesso di entrare un momento nella mia vita che lei ha disprezzato. Come piace dire a molti arabi, in particolare musulmani: “Dio vede“. Naturalmente vede chiunque lei compresa. Questa è una certezza che abbiamo in comune.
Questo è quanto mi sento di dirle dal profondo del cuore. Io non devo giustificarmi di nulla. Ho una vita da vivere, non posso perdere altro tempo.
Sempre Vicky.
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