Mani
Nonostante siano trascorsi quasi 26 anni non ho ancora fatto pace con le mie mani pressoché ferme.
Sempre Vicky!
Il mio corpo
Cari amici,
Approfitto della lettura di un bellissimo post dell’amico Seph per condividere con voi il commento che ho lasciato dopo aver letto per l’ennesima volta che uno – genericamente parlando – che possiede un corpo così detto “normale” non possa lamentarsi di non trovarcisi bene dentro.
Onestamente e senza rispetto di alcuna etichetta mi sono rotta di alcuni sottintesi di cui io ho ancora il ricordo, cosa che mi faceva sentire una donna di serie B.
Grazie e Dio questo appartiene al passato. Di seguito trovate il mio commento.
Un abbraccio, sempre Vicky!
“Sembrerà strano ma a me il mio corpo piace e intriga più ora di 25 anni fa. Allora non stavo da regina sul mio trono a rotelle elettronico e tuttavia non mi piacevo, pur avendo il mio Amore e la mia bambina. Non è necessario guardare ciò che apparentemente manca agli altri per essere felici di esserci.
A volte mi basta mettermi in un paio di jeans che mi piacciono, pur essendo consapevole che non potrò MAI guardare il mio sedere allo specchio. E così ho trovato un trucco che si è rivelato sexy: MI FACCIO FOTOGRAFARE col mio cellulare dal mio ora ex compagno – che bacchettonamente non condivide le mie scelte – o dalla ragazza che mi aiuta nelle mie necessità.
Anche queste e senza giudizio.
Caro Amico, ci sei, ci siamo…non è figo?
Ti abbraccio, ❤
Vicky
p.s. siccome sono a volte logorroica con l’aggravante della vanità, faccio di questo commento che mi racconta in una parte importante, un post che spero leggerai e commenterai “
Una dedica a Davide e a tutti voi. E a me!
Sono basita.
Amici miei,
a questo link troverete un post in inglese al quale segue la traduzione in italiano con Google, che ho cercato di correggere facendo del mio meglio.
Il titolo del post è già un programma. Avrei voluto aver capito male ma…
Lascio a voi la riflessione e un eventuale intervento.
Titolo del post: È l’omosessualità una disabilità?
Io ho una disabilità motoria e se fossi lesbica non mi sentirei due volte disabile/sfigata.
Sono credente e praticante della fede cristiana e alla luce dello Spirito Santo, della mia intelligenza e della mia umana sensibilità non emetto giudizi.
Preferisco vedere l’amore dove è piantato e curato.
Dio è il Padre di tutti! Sempre Vicky!
Questa la traduzione del post:
”
È l’omosessualità una disabilità?
So dove sto andando con questo, soltanto ascoltatemi. Viviamo in un mondo in cui trovare un partner è un grosso problema e dato il mondo moderno in cui viene lavato il cervello dai media, in cui influenzare le persone è così facile, chiunque può farci credere in qualsiasi cosa, anche per quanto riguarda l’attrazione (sessuale).
Senza offendere nessuno o insinuare che sono un omofobo, voglio sottolineare alcune cose che, secondo me, hanno dato all’omosessualità un grande vantaggio nella nostra generazione.
La prima cosa che voglio sottolineare è la mancanza di supporto emotivo. Questa mancanza di supporto emotivo non consente a nessuno di esplorare ciò che provano realmente per qualcosa o nessuno. Al giorno d’oggi le persone si preoccupano solo delle cose e delle persone che le rendono belle con altre persone di cui non si preoccupano nemmeno; il mondo è diventato così pretenzioso e sconsiderato. In questo mondo, ci isoleremmo sicuramente in qualcuno che ci mostrerebbe sinceramente un po ‘di affetto, che è davvero difficile trovare al giorno d’oggi.
In questa ricerca di supporto emotivo, si può solo trovare conforto nel proprio genere, perché esiste una connessione naturale tra un maschio e un maschio, una femmina e una femmina: in qualche modo si conoscono molto bene, forse perché conoscono sè stessi .
Qui, se parliamo della connessione tra un maschio e una femmina, non è così facile stabilire una vera connessione poiché entrambi i sessi si sentono in modo diverso – ci vuole un duro lavoro e un carico emotivo per capirsi a vicenda, ma questo non accade con persone dello stesso sesso.
Un maschio può facilmente capire un altro maschio e una femmina può facilmente capire un’altra femmina, questo interrompe il carico emotivo di cui si ha bisogno per capire il sesso opposto. Come ho detto prima, il mondo è diventato così pretenzioso e sconsiderato, che non si può raccogliere abbastanza energia per affrontare il carico emotivo necessario per essere più etero, quindi finiscono per trovare conforto nel proprio genere.
Se sei un omosessuale o conosci altri che lo sono, non penso che tu o loro abbiate scelto di provare ciò che provate, è successo e questo potrebbe essere il caso — tu o loro siete diventati una buona vittima della società moderna.
La seconda cosa che voglio sottolineare è la tendenza (moda). Sembriamo tutti preferire la tendenza a qualsiasi cosa; se non sei di tendenza, non sei cool. Questo porta molte persone a credere di essere omosessuali, anche se potrebbero non esserlo, e questo gli va bene. La paura di perdersi è molto alta nella nostra generazione, ha spinto le persone a fare molte cose folli e senza cervello solo perché non vogliono perdersi. In questo caso, avere una preferenza sessuale potrebbe non essere così folle e senza cervello, a meno che, le persone non abbiano rinunciato alla loro reale preferenza sessuale solo per stare al passo con la tendenza perché è bello (figo).
La terza e ultima cosa che voglio sottolineare sono i social media che intorpidiscono la mente: so che ne sto usando uno per parlarne, ma è sicuro che offuschi la mente se non si accede a contenuti adeguati. Abbiamo informazioni illimitate disponibili nelle nostre mani, ma preferiamo trascurare tutte le informazioni che potrebbero aiutarci a crescere e distrarci con l’intrattenimento inutile. Questo di conseguenza, ci priva della nostra capacità mentale. Senza un forte controllo su noi stessi, saremo sicuramente influenzati dalle influenze che ci circondano. Ciò risale alla mancanza di intelligenza emotiva che completa una trappola (giro) viziosa.
Personalmente, non ho alcun problema con l’omosessualità, la bisessualità, i transessuali o gli altri che preferiscono una sessualità insolita, ciò che intendo qui è come il mondo moderno può avere un impatto sulle persone affinché si vedano in modo diverso spingendo loro a trovare un partner e togliendo il loro supporto emotivo, la loro capacità di ragionare e la loro capacità di attenersi (seguire) al modo della natura.
In conclusione, potrebbe non essere una disabilità, ma una mancanza di abilità.
”
Per rilassarmi voglio ascoltare bella musica. Non vedo l’ora di leggervi! Sempre Vicky!
La mia non-spesa
Ciao a tutti!
Questo è il carrello della mia spesa di oggi. Anzi della mia non–spesa. Di oggi come l’ennesimo giorno di una serie molto lunga cominciata anni fa, quando ho voluto iniziare la mia vita indipendente. Questo è uno degli aspetti che la riguardano, uno di quelli primari e fondamentali: comprare quello che ci serve tutti giorni, dal cibo ai detersivi e a molto altro di ciò che si può trovare in un qualsiasi supermercato di fiducia.
Ecco, partiamo da qui: parliamo di fiducia, cioè fidarsi di qualcuno.
Come molti di voi sanno sono una tetraplegica quasi completa, cioè ho conservato l’uso parziale del mio corpo dal tronco in su, non cammino, muovo parzialmente le braccia. Purtroppo le mani non più. Nonostante abbia conservato la sensibilità, non ho presa, quindi un carrello come quello sopra o come qualsiasi altro cesto per me è totalmente inutile. Non potrò mai metterci nulla là dentro. avrò sempre bisogno dell’aiuto di qualcuno per prendere quello che mi serve e metterlo per esempio nel carrello o in un sacchetto da svuotare poi alla cassa naturalmente al posto mio.
All’inizio della mia avventura nei supermercati oppure nei centri commerciali mi sono fatta coraggio e ho ingoiato tantissime volte il mio orgoglio per arrivare allo scopo e cioè uscire di casa e tornarci con la spesa che volevo fare da sola.
La cosa più difficile da fare è stato all’inizio chiedere ai clienti come me che trovavo in giro per i negozi o nei vari reparti la cortesia di prendermi quello che mi serviva e metterlo nel sacchetto che avevo fatto predisporre dietro la mia carrozzina ben fermo appeso alle maniglie. Fare la spesa in questo modo mi costava il doppio della fatica in senso morale e anche materiale, perché dovevo individuare niente giusto al posto e mi prendeste il prodotto giusto. un lavoraccio che però compensava quello che mi mancava: la mia amatissima anche se parziale indipendenza.
Poi mi sono decisa per una radicale evoluzione e qualche anno fa ho chiesto direttamente aiuto alla direzione del supermercato in cui decidevo di fare la spesa.
Premetto che per anni sono stata cliente dell’Esselunga di Milano, Via dei Missaglia ed è lì che ho provato a chiedere l’autorizzazione di avere una persona che mi aiutasse. La risposta che ho ricevuto è stata sempre un deciso NO, anche se accompagnato da un “ci dispiace“. Dopo molta pazienza e molti no sono diventata praticamente una ex cliente.
Con Esselunga ci ho riprovato a Rozzano dopo anni e quel punto vendita mi ha parzialmente soddisfatto, nel senso che qualcuno mi ha dato una mano per un tempo breve. Mi sentivo come se avessi un certo nervosismo che mi attraversava. Non vedevo l’ora di finire perché terminasse quella brutta sensazione.
La seconda e più brutta esperienza negativa è stata quella con Iper di Rozzano, presso il centro commerciale Fiordaliso. In quel posto ormai metto ruota solo nella galleria di negozi o proprio per estrema necessità. Non ricordo con precisione quando è successo ma so benissimo le parole che ho sentito al centro assistenza clienti quando ho chiesto appunto se potevo ricevere un piccolo aiuto.
Questa è stata la risposta lapidaria: “Scusi, ma lei non prende l’accompagnamento? Perché è qui da sola? A casa non ha una persona che l’aiuta? Perché non è venuta con lei?” Avrei voluto sprofondare per l’umiliazione. Ho rimosso il viso di quella persona da quel momento. Ho girato la mia carrozzina e mi sono detta “Mai più!“.
Scommetto che qualcuno dei presenti le avrà dato anche ragione…
L’ultimo episodio è accaduto oggi pomeriggio presso l’Eurospin di Rozzano.
Devo dirvi per onestà che mi contraddistingue che Eurospin è finora praticamente l’unico supermercato dove ogni volta che ne ho fatto richiesta sono stata affiancata da una persona incaricata di aiutarmi, tutto senza fretta e con un dialogo piacevole con chiunque mi fosse capitato.
Oggi purtroppo sono tornata con il sacchetto vuoto, perché sembrava che in quel maledetto momento non ci fossero persone disponibili. Nonostante avessi detto che ero disposta ad aspettare – come se non fossi una persona pagante – non ho ricevuto risposta. Mi sono ritrovata così a girare nel negozio guardando di qua di là per far passare il tempo in attesa dell’autobus e non dover stare fuori a una temperatura di -2° per 30 minuti. L’addetto alla sicurezza ogni tanto mi guardava mentre giravo per gli scaffali. Probabilmente non si è mai accorto che non potrei rubare nulla.
Passavo in rassegna le cose che avrei voluto prendere e non potevo e la rabbia saliva molto.
Sono uscita leggera leggera con un peso sul cuore. Questa volta però non smetterò, perché voglio fare memoria delle volte in cui ho ricevuto solo dei SI‘.
E non smetterò anche per una questione di principio. Non si torna indietro. Vero?
Mi dedico il brano che mi accompagna mentre scrivo. Sempre Vicky!
Stronza
dal Web
Ho dovuto aspettare un giorno per far decantare il dolore, l’incredulità, l’umiliazione e tanto altro provati e vissuti ieri nella mia Milano, multirazziale, multietnica e quant’altro…
Per raggiungere da casa mia la zona San Siro ci vuole parecchio, per una persona come me che in più ha difficoltà di mobilità e di barriere architettoniche i tempi sono biblici. Arrivo finalmente alla mia meta, c’è vento caldo, sono sola come al solito nei miei spostamenti, ho bisogno di bere. Appena incontro qualcuno nella comunità che sto raggiungendo chiederò una mano per prendere la bottiglietta che ho nella borsa e finalmente reidratarmi.
Eccomi, davanti a me soltanto due persone in attesa, almeno quelle che si vedono all’esterno nel cortile. Aspetto, a un certo punto passa un ragazzo africano. Lo fermo per chiedere informazioni e mi dice che devo aspettare l’arrivo del responsabile, cioè che trovi il tempo per fare i gradini che io non posso scendere per entrare nel suo ufficio… Cominciamo male – mi dico – visto che la persona che attendo è un religioso. Non è questo comunque ciò di cui voglio parlare.
Fuori insieme a me ci sono una donna araba velata e un uomo che l’accompagna. Quando mi trovo in queste situazioni approfitto sempre dell’attesa per tentare una qualche forma di comunicazione che altrimenti difficilmente si riesce ad avere. Tutti sono sempre di fretta oppure occupatissimi con i propri cellulari, tanto da non poter nemmeno alzare lo sguardo per incrociare quello di qualcun altro e tentare almeno un sorriso di saluto.
Mi piace ancora sognare.
“Ciao, tutto bene?”
“Sì, tutto bene”.
“Vedo che siete arabi, posso chiedervi di che paese siete?”
“Siamo del Marocco“.
“Davvero? Il mio attuale compagno è del vostro paese! Lui è di … e voi?”
“Siamo di Casablanca, siamo vicini a …”.
Non so perché ma nel cuore ho provato lo stesso sentimento che in quel momento credo avrebbe avuto un loro compaesano. Da quando vivo con un uomo marocchino mi sento come se facessi in minima parte “comunità” con quelli di loro che sono all’estero, in questo caso in Italia. Questo sentimento mi fa vivere momenti estremamente diversi tra di loro. Per esempio, se sono arrabbiata non sopporto nemmeno di sentir parlare arabo in autobus; se invece sono serena o felice abbraccerei il mondo intero, in particolare con loro mi sento in quel momento con una famiglia allargata. Mi rendo conto di essere un po’ ingenua ma mi voglio bene così. Con questo stato d’animo continuo la conversazione, che però piano piano da parte della donna si trasforma in una raffica di domande incalzanti alle quali mi dà il tempo di rispondere solo a monosillabi.
“Quanti anni ha lui? E tu? Avete figli? Vivete insieme?”
Mi ritrovo a risponderle in modo automatico, quasi senza pensare, incapace di articolare qualsiasi altro discorso davanti all’interrogatorio. Con il senno di poi mi sarebbe piaciuto fare quello che c’è nella figura in alto… non posso farlo fisicamente però avrei dovuto troncare il discorso e basta visto che l’interesse del dialogo e non del pettegolezzo era unilaterale. E invece…
“Quasi 41. Io 53. No, non abbiamo figli. Viviamo insieme da un paio d’anni”.
E adesso arriva il masso che mi ha schiacciato…
“Ma come fa lui che ha 41 anni a stare con te che ne hai 53 e sei disabile? Guarda che non è possibile una cosa così! Stai attenta, perché un uomo marocchino non può stare con te che sei in questo modo!” accompagnando le sue parole con uno sguardo di pietà se non di disprezzo diretto al mio corpo e alla mia carrozzina e aggiungendo con insistenza un elenco di “NO, NO, NON è POSSIBILE“.
Non sono riuscita a dire nulla.
L’uomo che l’accompagna, che ho scoperto essere suo fratello, molto più in vena di fare conversazione e conoscenza, cerca di mettere una pezza sulla ferita che sua sorella mi ha appena provocato dicendo: “Si vede che lui è innamorato“.
Da quel momento non mi parlano più. Io neppure, visto che nel frattempo è arrivata la persona che aspettavo. Vado via velocemente per non perdere il pullman che mi porterà a casa un’ora più tardi.
Mentre sono sull’autobus piano piano realizzo quello che è accaduto e… la rabbia sale, mista a tristezza, senso di inadeguatezza, di immensa solitudine e impotenza. Ho voglia di spaccare qualcosa per non sentire questo dolore dal quale non mi posso difendere. Vorrei poter correre, piangere liberamente, gridare parolacce a quella donna così dannatamente piccola e semplicemente STRONZA!
Improvvisamente mi sento con nulla da capire, nulla da scusare, nulla da dover sopportare perché tutto enormemente ingiusto.
Contro ogni realtà io continuo a credere nella bontà della gente, nonostante tutto.
Mi aggrappo a questa mia convinzione profonda sull’umanità, quell’umanità che vede oltre il mio corpo non autosufficiente e oltre il colore della pelle del mio compagno.
Si può essere razzisti essendo invidiosi di quel poco che il prossimo ha, ma soprattutto del tanto che l’altro è, perché a noi – in questo caso a quella donna STRONZA – manca: un briciolo di bene nel cuore.
In questo momento non riesco a giustificarla, neppure pensando a un eventuale passato personale senza amore. Non me ne frega niente! Io non le ho fatto nulla di male. Le ho permesso di entrare un momento nella mia vita che lei ha disprezzato. Come piace dire a molti arabi, in particolare musulmani: “Dio vede“. Naturalmente vede chiunque lei compresa. Questa è una certezza che abbiamo in comune.
Questo è quanto mi sento di dirle dal profondo del cuore. Io non devo giustificarmi di nulla. Ho una vita da vivere, non posso perdere altro tempo.
Sempre Vicky.
Abilità e disabilità
“Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.” Albert Einstein
Questo è quello che vedono in me molte persone: il limite.
Quel che vedo e vivo io: spazi ripensati, orizzonti aperti.
Buon ascolto. Sempre Vicky!
A mia figlia
-Google
Ho cominciato la mia giornata come tante altre. Con una lacrima seguita da molte in più a causa di un sogno, che ha dato uno scossone alla mia fragile emotività. Ora non lo ricordo bene tutto. So solo che le protagoniste siamo mia figlia ed io. Lei ha apparentemente non più di un anno e mezzo, io mi vedo adulta, anche se dovrei avere quasi ventidue anni.
Sono in piedi e ansiosa la cerco, la vedo e la prendo in braccio. Posso ancora farlo, sono lontana ancora oltre tredici anni dal giorno in cui non potrò più fisicamente farlo, perchè seduta in carrozzina e senza l’uso delle mani. Non è su questo, o solo marginalmente, però, che voglio scrivere, ma ripercorrere la mia maternità per guarire.
Voglio raccontare alcune cose che riguardano il mio essere madre non perché voglia dare indicazioni a qualcuno, ma perché ne ho bisogno per essere onesta con me stessa.
Mia figlia è una bambina tranquilla, lo è fin dalla nascita. insieme ci facciamo tante dormite, con parecchia invidia da parte di vicini e parenti, che invece trascorrono la notte in bianco con neonati in braccio urlanti. Ho in comune con lei tanti ricordi costruiti negli anni, fatti di vita quotidiana, di bagnetti, di giochi, di passeggiate, di storie inventate per farla addormentare serenamente, portarla all’asilo e poi spiarla di nascosto per vedere se piange senza di me…
Vederla fare i compiti è un piacere, è talmente assorta… è uno spettacolo di bellezza. La aspetto fuori dalla scuola impaziente, mi manca tanto non vedere più tanti suoi progressi come quando era piccola di doverla condividere, giustamente, con altri.
Uno degli ultimi ricordi che ho prima della “tragedia”, che mi travolge e ci travolge quando lei ha soltanto undici anni e io trentadue, è quello della palestra di prima media piena fino all’inverosimile di bambini e di mamme e papà in attesa di sapere la classe di destinazione del proprio figlio o figlia. Ci guardiamo da lontano e io cerco di incoraggiarla. Ha paura di perdere i suoi compagni delle elementari per sempre. E poi davvero l’ultimissima immagine… la mia piccola che piange appena tornata da scuola, che trova la sua mamma circondata da paramedici, da suo padre, distesa sul divano di casa con appena un filo di voce che dice: “Non preoccuparti, tu prega per la mamma”.
Dopo tutto questo è come se per molti anni si fosse chiuso un sipario, come se sul palcoscenico della vita lei ed io fossimo rimaste sole. Lei con il suo papà, con il suo dolore, con una mamma cambiata e assente fisicamente per nove mesi da casa e per anni della sua vita. Io… sola altrove.
Sì, è proprio così, non ci sono più stata. C’è un vuoto nella mia memoria di cui abbiamo parlato di recente, di nostalgia di esperienze che ci sono state negate, quelle cose frivole ma anche profonde che un adolescente fa con sua mamma. Io non sono stata più la tua mamma. Mi sentivo un peso. Oltre al mio egoismo avevo due donne che volevano sostituirsi a me. Io non potevo fare altro che lasciarle fare e per conto mio ti chiedo solo un po’ di clemenza… stavo cercando di guarire. Poi mi sono lasciata andare, rassegnata a una vita fatta di cibo e di tv. In solitudine. Forse vi guardavo vivere. Ho sbagliato pensando solo di evitare dolore a tutti e “dimenticando” apparentemente di avere ancora una figlia da crescere, nonostante le mie condizioni.
La vita ci ha insegnato a crescere prima ognuno per conto suo e poi, più in là, più vicine. Quante volte, mi chiedo, sarai “scappata”, rifugiandoti altrove e quante volte non sono venuta a cercarti…
Sono convinta che l’amore vero sia non perdere tempo nel passato, ma avere il coraggio di ammettere gli errori e di chiedere perdono. Per ora lo faccio qui, è già straziante per me leggere queste righe e rivedere un film che non si può più rimontare.
Perdonami per non esserci stata quando avrei potuto farlo, anche così come sono perché mi prendevo più cura di tuo papà, quasi avessi già il presentimento che l’avrei perso anni prima che succedesse davvero. E ancora prima perdonami per averti picchiata da piccola… tu non lo meritavi, nessun bambino lo merita, ma io sono stata troppo ignorante e ho pensato più a far bella figura con una figlia ubbidiente e sottomessa piuttosto che farti crescere senza questi ricordi. Cercavo l’approvazione degli altri, soprattutto dei parenti di papà, che di me non avevano alcuna stima nè rispetto già da allora. Credimi, in certe notti ho odiato talmente me stessa e tutti quanti – quelli che c’erano e quelli che non ci sono più stati – da piangere tutte quelle lacrime che per anni non ho più versato. Da ultimo volevo dirti che hai completamente ragione. In certi periodi della mia vita ho pensato solo a me stessa dopo la morte di papà, perché frequentare uomini mi faceva sentire viva e il sesso mi ricordava che ero donna, come e più delle altre “normali”. Ero in competizione, me ne rendo conto.
Mi sono sbagliata, perché questo non esclude l’essere mamma e soprattutto essere persona che porta rispetto alla presenza di altri nella sua vita, quegli “altri” che come te sono un dono, da custodire, da accompagnare!
C’è tanto da costruire che ci aspetta, giorno dopo giorno… io ci sono. Tu… sei sempre stata, come hai potuto, con le forze di cui disponevi e disponi ancora oggi. Bello osservarti vivere ed esserci.
Domani ti telefonerò per dirti semplicemente: “Ti va di parlare un po’?”
Ti abbraccio tanto. Da sempre e per sempre la tua mamma imperfetta, sempre Vicky!
Le gambe.
Lui dice che sono bellissime… La terapista che sono toniche, nonostante tutto. Eppure a volte si muovono. Di moto proprio, come corpo indipendente e… mi stupiscono. Anni fa mi spaventavano. Non poterle controllare mi faceva impazzire e provare vergogna tra la gente. Una diversa tra le diverse. Superare questo imbarazzo è stato come scalare l’Everest. Poi è stato un viaggio corporeo in discesa, con accellerate improvvise e pericolose e bruschi rallentamenti. Le mie due amiche sono mute eppure parlano anche se con linguaggi non verbali.
Si muovono le gambe per dirmi: ‘Ci siamo’. Vi amo, dolorose e doloranti amiche mie! Parlatemi, così come solo il mio corpo sa fare…
Da quando mi avete sorretto e portato a spasso per la vita giusto fino a sedici anni fa… siete state magnifiche. Poi c’è stato il tempo del riposo. E dopo ancora la nostra convivenza e la nostra unione. Finchè vita ci terrà insieme.
Mi avete reso perfino bella agli occhi di qualcuno. Io…vi accarezzo, vi coccolo. Mentre scrivo, leggo, guardo fuori la vita altrui che corre su gambe attive. Avete bisogno di me come io di voi, care… Vi dedico le calze adatte, i pantaloni scelti con cura anche in realtà, pensandoci bene, non li noterà nessuno. Io sì. Vi guardo riflesse nello specchio o nelle vetrine: state proprio bene, mi piacete!
Un tempo vi ho odiate. Dovete aver sofferto molto per il dilaniante destino che vi stava derubando della vostra funzionalità. In più si aggiungeva la prospettiva di una quasi sicura ‘morte’ muscolare – atrofia dicono – e l’idea di perdervi definitivamente anche dal punto di vista estetico oltre che motorio mi fa vedere la mia vita meno degna e sopportabile.
Che donna strana sono… Una diversa tra ‘le diverse’. Alcune mie colleghe su ruote passano la vita tra centri di riabilitazione, palestre e viaggi della speranza… benissimo. Io ho scelto con altre priorità, in piena libertà. Non resto immobile a guardare la vita scorrermi davanti. Ho tempo, che sia un’ora o un decennio non importa. La mia di speranza sono le carezze. Quelle di chi mi incontra con lo sguardo e mi manda con gli occhi un messaggio, quelle delle mie mani che vi fanno compagnia quando vi sentite sole, quelle di qualcuno che, ancora con desiderio, vi sfiora e vi bacia.
Amiche mie, abbiamo ancora viaggi da fare insieme!
Sempre Vicky!
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