Il nero e il blu
Amici miei,
con amarezza condivido il pensiero esposto e lo ripubblico.
Uno spunto di riflessione mentre intorno imperversa sempre più la guerra per accaparrarsi le poltrone e il comando nei luoghi di potere economico e politico.Un abbraccio, nonostante tutto. Sempre Vicky!
Quello che segue è il riassunto di una conversazione che ho avuto con un amico che vive a New York da nove anni.
Poco più di una settimana fa New York era una città fantasma. I negozi e gli uffici erano chiusi e i marciapiedi, solitamente percorsi da migliaia di persone, quasi deserti. Regnava un silenzio irreale.
Ma alle otto di sera tutti i giorni dalle finestre e dai balconi si levava un applauso scrosciante, lungo e senza fischi. Era rivolto al personale sanitario che lottava, e lotta ancora, contro il corona virus. Ma, purtroppo, nonostante il loro impegno, a volte eroico, l’88 per cento dei malati gravi non ce l’ha fatta. Si trattava di pazienti affetti da altre patologie come ipertensione, diabete o obesità che non si erano curati perché non potevano permettersi un’adeguata e costosa assicurazione sanitaria.
La pandemia ha peggiorato la condizione di gran parte di coloro…
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Stronza
dal Web
Ho dovuto aspettare un giorno per far decantare il dolore, l’incredulità, l’umiliazione e tanto altro provati e vissuti ieri nella mia Milano, multirazziale, multietnica e quant’altro…
Per raggiungere da casa mia la zona San Siro ci vuole parecchio, per una persona come me che in più ha difficoltà di mobilità e di barriere architettoniche i tempi sono biblici. Arrivo finalmente alla mia meta, c’è vento caldo, sono sola come al solito nei miei spostamenti, ho bisogno di bere. Appena incontro qualcuno nella comunità che sto raggiungendo chiederò una mano per prendere la bottiglietta che ho nella borsa e finalmente reidratarmi.
Eccomi, davanti a me soltanto due persone in attesa, almeno quelle che si vedono all’esterno nel cortile. Aspetto, a un certo punto passa un ragazzo africano. Lo fermo per chiedere informazioni e mi dice che devo aspettare l’arrivo del responsabile, cioè che trovi il tempo per fare i gradini che io non posso scendere per entrare nel suo ufficio… Cominciamo male – mi dico – visto che la persona che attendo è un religioso. Non è questo comunque ciò di cui voglio parlare.
Fuori insieme a me ci sono una donna araba velata e un uomo che l’accompagna. Quando mi trovo in queste situazioni approfitto sempre dell’attesa per tentare una qualche forma di comunicazione che altrimenti difficilmente si riesce ad avere. Tutti sono sempre di fretta oppure occupatissimi con i propri cellulari, tanto da non poter nemmeno alzare lo sguardo per incrociare quello di qualcun altro e tentare almeno un sorriso di saluto.
Mi piace ancora sognare.
“Ciao, tutto bene?”
“Sì, tutto bene”.
“Vedo che siete arabi, posso chiedervi di che paese siete?”
“Siamo del Marocco“.
“Davvero? Il mio attuale compagno è del vostro paese! Lui è di … e voi?”
“Siamo di Casablanca, siamo vicini a …”.
Non so perché ma nel cuore ho provato lo stesso sentimento che in quel momento credo avrebbe avuto un loro compaesano. Da quando vivo con un uomo marocchino mi sento come se facessi in minima parte “comunità” con quelli di loro che sono all’estero, in questo caso in Italia. Questo sentimento mi fa vivere momenti estremamente diversi tra di loro. Per esempio, se sono arrabbiata non sopporto nemmeno di sentir parlare arabo in autobus; se invece sono serena o felice abbraccerei il mondo intero, in particolare con loro mi sento in quel momento con una famiglia allargata. Mi rendo conto di essere un po’ ingenua ma mi voglio bene così. Con questo stato d’animo continuo la conversazione, che però piano piano da parte della donna si trasforma in una raffica di domande incalzanti alle quali mi dà il tempo di rispondere solo a monosillabi.
“Quanti anni ha lui? E tu? Avete figli? Vivete insieme?”
Mi ritrovo a risponderle in modo automatico, quasi senza pensare, incapace di articolare qualsiasi altro discorso davanti all’interrogatorio. Con il senno di poi mi sarebbe piaciuto fare quello che c’è nella figura in alto… non posso farlo fisicamente però avrei dovuto troncare il discorso e basta visto che l’interesse del dialogo e non del pettegolezzo era unilaterale. E invece…
“Quasi 41. Io 53. No, non abbiamo figli. Viviamo insieme da un paio d’anni”.
E adesso arriva il masso che mi ha schiacciato…
“Ma come fa lui che ha 41 anni a stare con te che ne hai 53 e sei disabile? Guarda che non è possibile una cosa così! Stai attenta, perché un uomo marocchino non può stare con te che sei in questo modo!” accompagnando le sue parole con uno sguardo di pietà se non di disprezzo diretto al mio corpo e alla mia carrozzina e aggiungendo con insistenza un elenco di “NO, NO, NON è POSSIBILE“.
Non sono riuscita a dire nulla.
L’uomo che l’accompagna, che ho scoperto essere suo fratello, molto più in vena di fare conversazione e conoscenza, cerca di mettere una pezza sulla ferita che sua sorella mi ha appena provocato dicendo: “Si vede che lui è innamorato“.
Da quel momento non mi parlano più. Io neppure, visto che nel frattempo è arrivata la persona che aspettavo. Vado via velocemente per non perdere il pullman che mi porterà a casa un’ora più tardi.
Mentre sono sull’autobus piano piano realizzo quello che è accaduto e… la rabbia sale, mista a tristezza, senso di inadeguatezza, di immensa solitudine e impotenza. Ho voglia di spaccare qualcosa per non sentire questo dolore dal quale non mi posso difendere. Vorrei poter correre, piangere liberamente, gridare parolacce a quella donna così dannatamente piccola e semplicemente STRONZA!
Improvvisamente mi sento con nulla da capire, nulla da scusare, nulla da dover sopportare perché tutto enormemente ingiusto.
Contro ogni realtà io continuo a credere nella bontà della gente, nonostante tutto.
Mi aggrappo a questa mia convinzione profonda sull’umanità, quell’umanità che vede oltre il mio corpo non autosufficiente e oltre il colore della pelle del mio compagno.
Si può essere razzisti essendo invidiosi di quel poco che il prossimo ha, ma soprattutto del tanto che l’altro è, perché a noi – in questo caso a quella donna STRONZA – manca: un briciolo di bene nel cuore.
In questo momento non riesco a giustificarla, neppure pensando a un eventuale passato personale senza amore. Non me ne frega niente! Io non le ho fatto nulla di male. Le ho permesso di entrare un momento nella mia vita che lei ha disprezzato. Come piace dire a molti arabi, in particolare musulmani: “Dio vede“. Naturalmente vede chiunque lei compresa. Questa è una certezza che abbiamo in comune.
Questo è quanto mi sento di dirle dal profondo del cuore. Io non devo giustificarmi di nulla. Ho una vita da vivere, non posso perdere altro tempo.
Sempre Vicky.
Jesse Owens ha vinto!
A quasi ottant’anni dalle Olimpiadi di Berlino Jesse Owens vince ancora!
Quando vado al cinema da sola posso scegliermi il film da vedere. Prevalentemente si tratta di film basati su storie realmente accadute, drammatici oppure storici ma diversi dai soliti kolossal commerciali.
Ieri è stato uno di quei giorni. Un pomeriggio solitario e libero, da vivere, da respirare, da annotare prima e raccontare poi come sto facendo. Un lungo momento vissuto in due prospettive: il racconto del film vero e proprio e quello delle persone che osservo in sala sedute a fianco o davanti a me. Bei posti quelli riservati ai disabili in carrozzina alla multisala di Rozzano: si ha una visuale dall’alto a 360° su tutto quanto mi circonda!
Race racconta la vicenda sportiva e umana di Jesse Owens, il famoso atleta di colore vincitore di quattro medaglie d’oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936, in attesa dell’invasione della Polonia da parte di Hitler e dell’inizio della seconda guerra mondiale. Nel bel mezzo del trionfo della discriminazione razziale e dell’inizio del genocidio degli ebrei, un “inferiore tra gli ariani” osa umiliare i tedeschi. Questo “negro” è per giunta americano, il che costituisce un’aggravante, se così vogliamo metterla. La partecipazione americana alle Olimpiadi, nonostante la consapevolezza di quanto stia accadendo in Germania in quel momento storico, viene legata a un compromesso di tipo economico con tanto di tangente per la costruzione della nuova sede dell’ambasciata tedesca negli Stati Uniti (sarà vero?).
Nulla da dire, il film mi ha veramente coinvolto e a tratti emozionato. Non conoscevo molto bene la vicenda nei particolari, forse perché la memoria storica, soprattutto per gli eventi sportivi è davvero carente. Sono uscita dalla sala con parecchi interrogativi in testa, in particolare mi sono domandata tornando a casa il perché ci si fosse soffermati così poco sulla gravità della discriminazione razziale negli Stati Uniti. Nel film ci sono solo poche pennellate a questo riguardo come, per esempio, le inquadrature sui cartelli con divieto di accesso ai neri sia negli autobus, che nelle palestre o negli spogliatoi o peggio ancora la discriminazione è sottolineata quando viene proibito a Owens, nonostante il successo a Berlino, di accedere al ristorante dall’entrata principale. Mi sono chiesta più volte in queste occasioni se il vero Jesse fosse così “sottomesso” e remissivo…
Ho parlato di un secondo aspetto che mi lega all’esperienza del cinema in generale come quella di ieri in particolare, cioè non guardare solo lo schermo ma osservare anche le persone.
Per me è uno spettacolo nello spettacolo, una visione nella visione, l’inquadratura nell’inquadratura.
In generale mi piace guardare il tipo di pubblico presente, il genere inteso come femminile o maschile, il numero di persone e a volte perfino l’abbigliamento. Osservo le coppie, i singoli come me (quando sono al cinema, anche se accompagnata, la vivo come un’esperienza personale e solitaria, come se leggessi un libro), le famiglie con bambini, i gruppetti di adolescenti o di amiche – amici più o meno miei coetanei che fanno commenti qua e là durante il film. È come guardare dal di fuori una famiglia a tavola. Mi piace pensare di avere il vantaggio dalla mia posizione alta e in qualche modo dominante, di passare inosservata mentre rubo immagini di vita qua e là. Il Tesoro della mia memoria.
In particolare ieri una coppia seduta qualche fila più in basso rispetto a me ha attirato la mia attenzione durante l’intervallo. Entrambi dall’apparente età di 60 anni, lui la teneva stretta a sé per le spalle, sembravano due fidanzatini di altri tempi…
A un certo punto è caduta la giacca dalle spalle e lui con dolcezza gliel’ha risistemata, un gesto semplice e gentile che non vedevo non so da quanto tempo.
Ha toccato il mio cuore.
Abituata come sono a essere aiutata per necessità, ho gustato fino in fondo quella scena, ripensando nei momenti successivi, con la complicità del buio per nascondere qualche goccia di sale, a qualcuno che aveva abbracciato anche me nello stesso modo, a qualcuno che qualche volta è gentile e al quale sorrido poco, dimenticandomi della mia femminilità e della mia dolcezza che spesso stenta a manifestarsi con gesti e parole.
Grazie, Jessie! Ancora in pista, sempre Vicky!
Gradino
Un ostacolo che è anche una voragine. Una guerra tra poveri si dice. A volte poveri cattivi. Qualcuno dice che gli africani stiano un gradino più in basso rispetto ai “bianchi” europei. Non ascoltavo parole così apertamente discriminatorie sia dal punto di vista sociale che culturale. Resto in silenzio, come sempre davanti a rabbia, dolore, gioia profonda. Giusto il tempo che raggiunga il mio io nella stanza “segreta” e poi…
Sono Vicky e torno. Con tutta la mia forza.
Con rispetto ma con fermezza lascio emergere parole affamate di giustizia. Lo faccio da quando ne ho memoria, pagando sempre consapevolmente il conto.
Il “diverso” è da sempre il mio unico amore. L’ignorante… decisamente no.
Sempre Vicky!
L’occhio e la tastiera/Il razzismo è già guerra!
Immigrati a Lampedusa (Google)
Da www.ondanomala.org il mio ultimo pezzo pubblicato nella rubrica ‘L’occhio e la tastiera-Pensieri’:
“Le armi dei tiranni non tramontano.
La crudeltà del seminare l’odio è da tempo immemorabile strumento di ricatto e di sangue. Quando finirà questa escalation di disumanità? Il mio occhio osserva un mondo in migrazione forzata, la mia tastiera descrive con estremo dolore la divisione e le potenziali polveriere a rischio. Non c’è bisogno di spostarsi molto da casa. E’ sufficiente uno scambio acceso di vedute con uno degli interlocutori a me più vicini: mia madre. Fondamentalmente le argomentazioni sono due racchiuse in un’unica domanda: dove metteremo tutta questa gente che non sappiamo nemmeno chi sia? Entro subito in polemica, non resisto. Penso al buonismo di pie donne che in parrocchia raccolgono coperte per i poveri e sgranano il santo Rosario. Sto attenta a star loro lontana: appartenendo a una delle categorie che sfruttano lo Stato – sono una persona con disabilità – potrei essere assimilata agli ‘invasori’ Africani e divenire obiettivo di cecchini…
E’ di oggi la dichiarazione ultima di uomini di pace del calibro di Gheddafi: l’Europa sarebbe come Hitler. Devo guardarmi le spalle. Mi chiedo: saranno accessibili i nostri centri (campi)? Basta guardare un’immagine qualsiasi: sono luoghi di detenzione da dove chi può, scappa, evade.
Do’ un’occhiata al sito di Human Rights Watch(www.hrw.org) per cercare informazioni riguardo la situazione non presenta e avere la mia cartina di tornasole, cruda, attendibile. Leggo.
“Italia: Agire subito per porre fine alla violenza razzista
Le autorità dovrebbero riconoscere l’entità del problema e garantire i procedimenti penali idonei.
Judith Sunderland, ricercatrice senior per l’Europa occidentale di Human Rights Watch
(Roma, 21 marzo 2011) – Il governo italiano non sta prendendo le giuste misure atte a prevenire e perseguire la violenza razzista e xenofoba, afferma Human Rights Watch in un rapporto pubblicato oggi. Gli immigrati, gli italiani di origine straniera e i Rom sono stati vittime di brutali attacchi occorsi in Italia negli ultimi anni.
Il rapporto “L’intolleranza quotidiana: la violenza razzista e xenofoba in Italia” documenta in 81 pagine le mancanze dello Stato italiano nel prendere misure efficaci contro i crimini imputabili a odio discriminatorio. Sono rari i casi in cui l’aggravante razzista venga contestata nelle azioni penali per violenze, e le autorità italiane tendono a sminuire la portata del problema e non condannano con la necessaria forza gli attacchi. L’inadeguata formazione delle forze dell’ordine e del personale giudiziario e l’incompletezza della raccolta di dati aggravano la situazione. Allo stesso tempo, la retorica dei politici, le misure del governo e la cronaca mediatica collegano gli immigrati e i Rom alla criminalità e contribuiscono ad alimentare un clima di intolleranza.
“Il governo dedica molta più energia a incolpare i migranti e i Rom dei problemi che attanagliano l’Italia di quanto non faccia per fermare gli attacchi violenti contro di loro”, ha detto Judith Sunderland, ricercatrice senior per l’Europa occidentale di Human Rights Watch. “Le dichiarazioni allarmiste del governo su una invasione di ‘proporzioni bibliche’ dal Nord Africa è solo l’ultimo esempio di retorica irresponsabile. I funzionari dovrebbero proteggere i migranti e i Rom dalle aggressioni “(continua su http://www.hrw.org/en/news/2011/03/21/italia-agire-subito-porre-fine-alla-violenza-razzista) .
Non aggiungo altro. All’estero ci conoscono… e non è un bel pensiero.
Vincenza Rutigliano”
Questa è la Sicilia e l’Italia che sento mia… La Bellezza! Un abbraccio, sempre Vicky!
Che schifo.
“Aveva vissuto pochi giorni su questa terra, le era toccato di morire a Udine, in ospedale. Poi i genitori l’avevano portata a Paderno, per seppellirla. Ma i genitori avevano un “difetto”: erano musulmani. E una “pretesa”: seppellirla da musulmana. Difetto e pretesa che forse costeranno alla neonata defunta la riesumazione, c’è chi vuol togliere quel cadavere di bimba dalla tomba perchè “lì non ci può stare”. Protestano le “autorità” e protesta qualcuno della “gente” di Paderno. Protestano contro lo “scandalo e profanazione” del cimitero. (…segue)”
da www.blitzquotidiano.it attraverso l’amico Mario Circello.
Non è una notizia recente, anzi. Lo è però per me, che l’apprendo solo ora. Mi viene in mente una riflessione: le notizie quando diventano tali? Quando avvengono o quando ne veniamo a conoscenza?
Questa… NON AVREI MAI VOLUTO LEGGERLA.
Totò aveva torto, la morte non è affatto una livella… Men che meno nel cuore di chi si sente ‘giusto’ perchè osserva la legge. Provo solo pietà e mi sale la nausea al pensiero di 1700 probi cittadini che firmano la petizione leghista e pidiellina in difesa del diritto di essere consumati dal tempo ‘a norma di legge cristiana’.
Sono cristiana convinta proprio perchè Cristo ha rivelato l’Uomo nascosto nell’essere vivente con il superamento e il completamento della legge. Non mi lascerò imprigionare ancora dopo la Liberazione da tanta ipocrisia dei cosiddetti ‘giusti’ e il trionfo dell’Amore vero, offerto senza distinzioni ed esclusioni. Soprattutto senza imposizioni. Chi insegna un proprio Gesù ‘su misura’ lo dica, per non scandalizzare non già i cristiani, quanto tutti gli individui credenti nella verità, laica o di fede che sia.
Io non mi sento migliore degli altri. Solo diversamente felice, perchè in questa vita, in questo momento, con questo cuore.
Non esiste limite alla chiamata alla vita e alla ricerca della felicità. Non esiste limite al diritto alla dignità. Anche quella di essere seppelliti, come si desidera. Avrei voglia di chiederti scusa, piccola creatura… ma io non ho colpa dell’ignoranza altrui, risponderò casomai della mia. Non mi farò carico dei loro errori, non sono Gesù sulla croce. Riesco solo a provare una gran rabbia e la voglia di gridare mentre canto…
Sempre Vicky.
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