Quasi primavera
Come faccio da qualche tempo ogni mercoledì sono uscita subito dopo pranzo per andare in pullman al corso avanzato di inglese, per non arrugginirmi troppo e per frequentare gente.
Sono diventata molto pigra da quando ho traslocato due anni e mezzo fa.
Il comune in cui vivo ora non è servito molto da mezzi pubblici, soprattutto al mattino. Dopo le 9.30 e fino alle 13.30 circa non ce ne sono affatto. Idem dopo le 17.15.
Parlo delle corse verso Milano.
Perciò al mattino dopo colazione (a letto) mi dico: “Chi me lo fa fare?” e mi faccio girare sul fianco e dormo. Di solito fino alle dieci o alle undici.
Ciò premesso volevo condividere le mie sensazioni di oggi durante il tratto che separa casa mia dalla fermata.
Non ricordo più quando ho cominciato ad evitare di passare con le ruote su esseri animali viventi e, ove possibile, anche sull’erba, piena di vita invisibile.
Così comincio a guardarmi intorno e a preparare i sensi per lo spettacolo che sto vivendo. Me compresa.
Il primo ad accogliermi è il sole. Con il suo calore, come un abbraccio per dirmi “Bentornata, sorella mia!”, col chiarore intenso della luce bianca riflessa nelle rogge lungo le quali passo.
Ci guardo dentro, alla roggia, e mi accorgo di essere in compagnia di una nutria. Si muove lenta sul prato per poi immergersi in acqua. Appena lo sguardo si sposta vedo un paio di gatti seduti sul muretto della cascina che costeggio. Li saluto. Lo faccio sempre, come se fossi una viandante che incontra persone per strada. Così è.
Proprio a pochi metri ecco il “mio” fico. È mio perchè ogni volta che gli passo accanto lo saluto e lo ammiro crescere, dare foglie, frutti e infine ritirarsi a dormire. Ora sta tornando in vita regalandomi le sue prime gemme.
Di lì a poco incrocio due papere, tranquille, anche loro si godono il tempo clemente. Ci guardiamo senza emettere alcun suono. Ci sono. E io anche. Questo conta.
La signora anziana che vive lì da settantacinque anni non la vedo. Sarà in casa – sono le 13.30 – o dalle galline. La scorsa estate ci siamo fermate per almeno mezz’ora. Una cosa inusuale, mi hanno detto, per gli anziani del posto. In realtà loro sono gli interlocutori più piacevoli del paese. Posso parlarci senza prendere appuntamento, al bar, per strada, in posta. Loro sono il mio libro di storia vivente.
Tra odore di letame, di alberi potati, e i colori vivi dei prati arrivo quasi alla fermata del pullman. Ed ecco che un piccolo mare celeste mi invade. Niente acqua stavolta ma minuscoli fiorellini chiamati “occhi della Madonna“.
Sono meravigliosi nella loro perfetta semplicità! La loro bellezza è “turbata” qua e là dal giallo dei fiori di tarassaco. Che spettacolo!
Sono quasi alla fermata quando mi imbatto in qualcuno che mi ricorda che sto per rientrare nel mondo affollato: una colonia di formiche tutta intenta a correre su e giù.
Mi è difficile passare senza averne sacrificata qualcuna. Chiedo scusa.
Arriva il mio pullman. Mi preparo per il viaggio. Il mio.
Un saluto mentre ascolto un brano fantastico, sempre Vicky!
Passeggiata
Oggi ho fatto una passeggiata in compagnia del sole tiepido intorno e dell’aria fresca.
Non ero sola.
Pensieri, emozioni, correnti nascoste.
Sulla via del ritorno un’esitazione, qualcosa si muove.
Una formica. Un’evoluzione per evitarla.
Una vita salvata in questo venerdì di sangue cristiano.
Una rivoluzione iniziata qualche anno fa dentro…
La passeggiata sta diventando un piccolo viaggio interiore.
Qualcos’altro si muove, sembra un bruco, invece
è una foglia agitata dal vento, chiamata alla nuova e misteriosa vita
dopo essersi staccata dalle sue radici.
Ti capisco, foglia, è successo anche a me
di essere scambiata per qualcosa di morto e di essere rinata.
Proseguo verso casa,
passandoti accanto saluto la tua nuova forma.
Sono arrivata, vedo il mio riflesso, sono io.
Una persona a volte sconosciuta anche nell’aspetto,
esito solo un attimo
osservando quella donna seduta di fronte a me.
Rispetto la sua vita, passo oltre
con la gioia di averla incontrata.
Anche oggi. Passeggiando.
Sempre Vicky.
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